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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Il messaggio cristiano di Guglielmo Ferrero

Guglielmo Ferrero   

 

  1. Premessa

 Guglielmo Ferrero1, a 18 anni, conosce il medico positivista Cesare Lombroso che, giovanissimo, aveva già pubblicato un saggio sulla storia della Repubblica romana. Per Lombroso la comprensione dell’origine delle leggi e delle scienze italiane impone uno studio accurato della civiltà romana, dalla sua ascesa fino al declino.

Così Lombroso indirizza il giovane Ferrero, proteso alla ricerca del fondamento della giustizia e insoddisfatto di uno studio nozionistico del diritto, verso l’analisi di quella civiltà. Il risultato è il monumentale lavoro Grandezza e decadenza di Roma, che rese Ferrero famoso in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti. Nel 1908 fu ricevuto alla Casa Bianca dal Presidente Theodore Roosevelt.

In sostanza, bisognava studiare il caso di una decadenza memorabile al termine di una memorabile prosperità come ebbe ad affermare più tardi lo stesso Ferrero in modo da individuarne i principi che ne hanno permesso l’ascesa e i germi che ne hanno minate le fondamenta.

È vero che il cristianesimo e lo stoicismo, religioni che affermano l’eguaglianza morale di tutti gli uomini, si pongono in contrasto con i principi della civiltà romana basata su una dottrina aristocratica ed esclusivista, ma – ad avviso di Ferrero – non rappresentano l’elemento decisivo del declino.

I germi della decadenza della civiltà romana vanno ricercati nel cesarismo, nel progressivo svuotamento del potere degli organi elettivi, nella corruzione dei costumi, nella ricerca sfrenata del lusso. Sul piano militare la necessità di utilizzare legioni di barbari per il controllo dei confini dell’impero costituisce l’altro elemento da tenere in conto per l’annientamento dell’autorità del Senato di cui le legioni barbare non riconoscono più la funzione regolatoria e morale. Ciò determina la distruzione delle famiglie più illustri e rispettate, sostituite progressivamente, da elementi nuovi «incolti e grossolani»2.

Gli stessi germi che Ferrero individua nei movimenti rivoluzionari, nel fascismo e nel comunismo, che sfociano in governi illegittimi, polizieschi e violenti, dominati dalla paura perenne di essere rovesciati. Gli Stati così governati sono in cerca continua di territori e popoli da conquistare e sfruttare, anche a prezzo di guerre lunghe e sanguinose.

Il totalitarismo diviene l’espressione più eloquente della paura dei governi rivoluzionari che non ammettono opposizione, libere elezioni e la libertà di stampa.

Napoleone, Mussolini, Hitler sono costretti a propagandare che essi sono l’espressione della volontà popolare, che le violenze interne e le guerre sono giustificate per il bene della nazione. I governi totalitari, rappresentando la massima espressione usurpatrice del potere, non potranno mai giungere a una legittimazione.

La meta dello Stato totalitario è la salvezza collettiva che sarà raggiunta «sottoforma di Regno millenario quando le radici del male radicale saranno state eliminate. Unoperazione catartica che esige lisolamento e lo sterminio di tutti coloro che oggettivamente costituiscono una fonte di contagio spirituale»3.

Nel progressivo superamento del principio monarchico anche gli eserciti mutano la loro conformazione assumendo proporzioni gigantesche, di popolo in armi. I due conflitti mondiali costituiscono gli esempi drammatici dell’affermarsi di Stati totalitari basati sull’illegittimità della conquista del potere.

Ferrero analizza anche le ragioni del fallimento del Trattato di Versailles siglato nel 1919 e della Società delle Nazioni.

Quelle riflessioni hanno valore anche oggi, in un’epoca in cui si assiste alla ripresa della corsa agli armamenti e l’Onu fa fatica a regolare i conflitti in aree delimitate ma potenzialmente in grado di sviluppare guerre più estese e disastrose, come quelle nucleari.

 

 

  1. Lalba della società

 

Nel lavoro giovanile I simboli Guglielmo Ferrero evidenzia come l’acquisizione originaria dei beni sia avvenuta per conquista, nella maggior parte dei casi violenta, e le prime forme di conflitto nascono proprio in relazione al diritto di ritenere come propri quei beni. Il diritto, con il suo simbolismo, non è altro che il tentativo di dare certezza, nel tempo, agli assetti proprietari. La guerra è una delle principali fonti di acquisizione originaria dei beni. Con lo sviluppo della società, alla conquista si sostituisce il meno cruento scambio di beni.

Ibn Kaldoun – antesignano degli studi sociologici – ha ben evidenziato come l’uomo primitivo sia un selvaggio votato per istinto animale all’odio e alla violenza al quale arte e scienze risultano sconosciute.

Il suo pensiero principale è quello di soddisfare gli istinti sessuali e la fame. Il selvaggio ignora ogni lusso e produce soltanto ciò che è sufficiente per non morire. La forma di organizzazione sociale è la tribù quasi anarchica nella quale gli uomini sono spinti da istinti violenti l’uno contro l’altro armati. È evidente come non possa svilupparsi una civiltà nel deserto mentre nei piani fertili dell’Algeria e del Marocco possono svilupparsi fiorenti civiltà.

La fondazione delle città è il presupposto per lo sviluppo della civiltà e delle arti.

A margine di queste civiltà le tribù che hanno mantenuto un intenso spirito di corpo sono attirate dalle ricchezze e dal lusso delle società evolute. Le popolazioni barbare a più riprese tentano di impadronirsi di quei beni, prima in pochi, poi in grande numero e, una volta raggiunto lo scopo, si sostituiscono agli antichi dominatori. Tuttavia il raggiungimento del potere modifica la loro organizzazione sociale e i capi, attirati dal lusso, si adagiano sulle strutture politiche esistenti. Così si creano le premesse per cadere in preda di altre tribù che hanno, invece, mantenuto lo spirito guerriero.

Gli imperi musulmani e lo stesso impero romano hanno conosciuto il declino proprio in ragione della corruzione dei costumi, susseguenti all’enorme sviluppo delle ricchezze che affluiscono a Roma da ogni dove, e che, come conseguenza, ha ridotto la capacità di opporre una valida resistenza ai popoli barbari che premono ai confini.

Il giovane Ferrero ritiene che la guerra, almeno nelle forme in cui si era sviluppata fino a quel momento, sia ormai un fenomeno sorpassato, in quanto legato ai primordi della civiltà e all’accumulazione originaria dei beni. Un’idea che Ferrero, più tardi, riterrà una mera illusione.

Infatti, l’Europa che è tutto un fiorire di arte e di scoperte, con una civiltà tra le più floride della terra si avvierà verso la tragedia del primo conflitto mondiale.

La guerra diviene sregolata, gli eserciti assumono conformazioni gigantesche con scarse possibilità di manovra, dediti alle razzie dei beni frutto del lavoro delle popolazioni civili come non era mai avvenuto prima. Com’è potuto accadere?

 

 

  1. Il militarismo

L’orda barbarica, ai primordi della civiltà, ricorre alla guerra per garantirsi l’acquisizione di beni e nuovi territori. L’orda ha in dispregio il lavoro metodico e uniforme. La guerra rappresenta la versione bohémienne della vita del barbaro. In essa la società militare trova la sua espressione più completa sia in termini di ferocia individuale che di razzia collettiva. Il barbaro preso come singolo non è che un rozzo coltivatore di campi o un povero pastore. Entrando a far parte di un’orda muta la sua vita squallida in una furia collettiva e può così sfogare i suoi istinti più brutali, latenti in ciascuno, distruggendo e uccidendo. La fine di ogni violenta scorribanda finisce per rafforzare e accrescere il delirio d’onnipotenza di ciascun guerriero e l’orgoglio smisurato del popolo in armi, innescando un meccanismo di accelerazione delle distruzioni, delle uccisioni e delle razzie. Eppure questa stessa società militare, basata sull’egoismo di pochi, proprio nel momento in cui raggiungerà i maggiori successi, andrà incontro a un lento ma inesorabile declino. Il soddisfacimento egoistico del piacere, nella forma del lusso inutile propria delle società militari, è ottenuto a scapito delle classi produttive ed è sganciato da ogni funzione sociale o utilitaristica. Il lusso corromperà dall’interno la stessa società militare.

Venuto meno il fanatismo religioso che costituiva uno dei collanti dell’orda, la coesione sociale si sfalda. Presi individualmente quei guerrieri una volta invincibili, non sono più in grado di opporsi alla tirannia, ultima forma del disfacimento delle società militari.

 

 

  1. Il declino della civiltà romana

La civiltà romana ha avuto uno sviluppo millenario, dalle prime tribù di pastori ai fasti dell’impero. Senonché la caduta dell’impero non sarà meno dirompente della sua ascesa. Indagare le cause di tale declino poteva costituire un formidabile strumento per comprendere il senso e le leggi sottese alla civiltà europea nata dalle ceneri di quella greco-romana.

E Ferrero, dedicandosi interamente a quest’analisi, scopre che gli antichi chiamavano corruzione quello che per la nostra civiltà è denominato progresso.

Dell’eccessivo lusso e depravazione dei costumi si lamentavano gli scrittori romani dell’epoca classica, storici, oratori o poeti – Sallustio, Tito Livio, Orazio, Virgilio, Cicerone, Tibullo, Properzio e tanti altri – i quali rimpiangevano le virtù e la probità degli avi.

Roma diviene, progressivamente, crocevia di tutti i traffici e attraverso le strade consolari vi affluiscono ingenti ricchezze. È in questa fase che il vizio, la ricerca sfrenata del lusso e del confort, la depravazione si fanno strada nelle classi più elevate della società. L’accumulazione delle ricchezze conduce progressivamente al declino della società. Ferrero spiega l’antinomia progresso/corruzione con la costatazione che le società moderne sono civiltà quantitative mentre, quelle antiche, erano civiltà qualitative.

I Greci e i Romani avevano attenzione per tutto ciò che rende l’uomo migliore, più felice. Nelle civiltà qualitative sono prodotti capolavori, opere d’arte per raggiungere la perfezione ed elevare gli animi. La società si muove entro limiti prestabiliti.

Invece, nelle civiltà quantitative si cerca di accrescere il proprio patrimonio senza limiti cercando, ogni anno, di superare i records produttivi degli anni precedenti. Si costruiscono grattacieli e navi gigantesche che devono appunto rappresentare lo strapotere dell’uomo sulla natura.

Senonché, la corsa sfrenata e illimitata alla ricchezza e al lusso determina la rottura dell’equilibrio sociale, politico ed economico che, con enormi difficoltà, si era creato in precedenza. In sostanza, le civiltà quantitative sono destinate al declino e alla catastrofe. La prima guerra mondiale è un esempio di questa catastrofe.

Gli imperi cadono per una legge misteriosa della natura che «spinge luomo fuor dei confini della barbarie e lo incivilisce, per ricondurlo di nuovo, più tardi alla barbarie. Nè la barbarie né la civiltà hanno quindi nessun significato eterno e preciso; sono due condizioni di vita umana che si succedono fatalmente, per una rotazione eterna ed automatica».4

 

  1. La guerra iperbolica

Il ritorno alla barbarie, al confronto belluino non più tra individui o armate bensì tra popoli in armi emerge dall’analisi dello sviluppo dei conflitti armati.

Nel 1931 Ferrero pubblica a Ginevra un lavoro sull’evoluzione della guerra negli ultimi tre secoli. Nel XVIII secolo la guerra si organizza in un sistema di regole e diviene una lotta tra armate in campo chiuso. I civili assistono come spettatori.

Ogni armata organizza i propri magazzini acquistando i beni a prezzo di mercato sia presso le comunità amiche sia presso i paesi nemici. Fino alla rivoluzione francese gli effettivi degli eserciti e i fondi a disposizione sono limitati; ciò che importa è la qualità dei soldati non il loro numero. L’obiettivo è di vincere senza combattere. La guerra è una partita con le sue regole e i suoi obiettivi: un territorio, una successione, un trono o un trattato; chi perde paga, non si discute di giustizia né di diritto né di alcun’altra passione ardente. Si va alla guerra ammettendo che la causa di entrambe le parti sia egualmente giusta. Non si fa nulla per esasperare l’avversario né si dà luogo a procedure perfide e crudeli. La guerra limitata nel XVIII secolo – sostiene Ferrero – fu l’ultima tra le più belle creazioni delle vecchie civiltà qualitative.

La rivoluzione francese l’ha distrutta insieme al cerimoniale, ai costumi e alle mode dell’ancien régime.

La coscrizione obbligatoria e lunga assicura alla Francia un considerevole numero di soldati che non considerano però la guerra come un mestiere ma come un dovere. La passione di questi soldati rimpiazza l’addestramento professionale. La giustizia, il diritto alla libertà e all’indipendenza diventano le armi della guerra al pari dei cannoni e dei fucili. L’arte classica di guerreggiare è sostituita da una specie di romanticismo che non disdegna il versamento copioso di sangue. Le manovre tendono a provocare le battaglie per giungere a una rapida soluzione del conflitto. Di nuovo le armate, come nel XVI secolo, vivono sulle popolazioni civili che incontrano nel loro percorso, amici o nemici, ricorrendo a requisizioni e ruberie. Tutte le risorse della nazione sono a disposizione della difesa e della propaganda delle idee rivoluzionarie.

Nel 1815, dopo venti anni di guerre nazionali, l’Europa giace in un tale disordine e in una tale miseria che bisogna fare marcia indietro. Con il congresso di Vienna la coscrizione in Francia fu mantenuta ma il numero dei soldati ridotto e il periodo obbligatorio portato a sette anni. Nel 1870 sarà la Prussia, forte di una coscrizione di breve durata, a scatenare la guerra con l’Austria. La vittoria della Prussia impose a tutti gli Stati la riorganizzazione degli eserciti introducendo la coscrizione obbligatoria di breve durata.

Così i Paesi europei ricchi e densamente popolati creano, in trenta anni, le armate più gigantesche della storia. Nel 1914 proprio il gigantismo dell’armata tedesca la bloccherà in una guerra di trincea. Una guerra che doveva durare tre mesi si aggroviglia in un drammatico corpo a corpo senza un’uscita.

La guerra iperbolica 1914-1918 ha dato il via alla costruzione di armi sempre più potenti e distruttive. A un certo punto appare evidente la sproporzione tra le distruzioni causate e i milioni di morti della guerra mondiale in rapporto agli obiettivi che i belligeranti si erano dati all’inizio.

Al termine della sua analisi Ferrero nota come la guerra sia divenuta una forza distruttiva talmente formidabile che travolgerà la civiltà occidentale se non si riuscirà a limitarla o a sopprimerla in Europa e in America.

Inoltre, almeno altri tre problemi coesistono insieme alla limitazione della guerra: politico, economico e morale.

Dopo la distruzione del principio monarchico, l’Europa sarà in grado di sostituirlo con il principio della sovranità del popolo o scivolerà nell’anarchia?

Sul piano economico si stabilirà un limite allo sforzo che attiva la produzione di tutti i beni in grande quantità a scapito della qualità?

Da ultimo – si chiede Ferrero – siamo ancora cristiani o siamo ricaduti nel paganesimo? L’individuo è ancora il fine e lo Stato lo strumento del suo perfezionamento e della sua salvezza o lo Stato è divenuto nuovamente il fine e l’individuo un semplice strumento della sua potenza e “de sa grandeur”?

Con la rivoluzione russa del 1917 e il crollo dello zarismo è venuta meno una forza di equilibrio decisiva per la pace in Europa. La Russia si ritira dalla guerra capitalistica con l’intento di esportare la rivoluzione in tutto il mondo.

Restano la Società delle Nazioni e gli Stati Uniti che si pongono come forza di equilibrio anche in Europa. Tuttavia la Società delle Nazioni è stata imposta da un professore americano e subita dall’Europa. I grandi Stati europei avrebbero bisogno di un’anima, un’ossatura burocratica.

Ferrero nota come la Società delle Nazioni compili dossier e promuova conferenze senza riuscire a esorcizzare il demone della paura che si è impadronita dell’umanità, a guarire i popoli dall’ossessione della guerra. Da Roma a Mosca, la crisi post-bellica, conduce al potere dittatoriale basato su usurpazioni e illegittimità. Il sistema democratico è annientato e sostituito da uno Stato che fa leva sulla polizia, le delazioni, le deportazioni e i tribunali speciali.

«Quelle catastrophe ce serait pour lEurope et pour le monde, si un gouvernemnt dusurpation semparait de lAllemagne aussi!». Il monito di Ferrero diverrà, tragicamente per l’Europa e il mondo, una realtà.

Ferrero muore nell’agosto del 1942, nel momento in cui la seconda guerra mondiale è in pieno svolgimento e gli esiti risultano ancora incerti.

 

 

  1. Il messaggio cristiano

Ferrero ha analizzato in altri lavori il fallimento del Trattato di pace di Versailles e l’esigenza che si dia vita ad organizzazioni internazionali sulla scia dei 14 punti elaborati da Wilson nel 1919. Tuttavia il messaggio più stringente che ci lascia, a mio avviso, è quello sul millenario scontro paganesimo/cristianesimo che tuttora rappresenta il possibile innesco di una guerra globale. Il terrorismo e il risorgere del militarismo, unitamente alla presenza di regimi non democratici e, in alcuni casi illegittimi, non sono che diversi profili dello scontro epocale tra la visione pagana e quella cristiana dello Stato.

Per il paganesimo lo Stato è il fine mentre per il cristianesimo costituisce il mezzo. Generalmente le classi, i gruppi, i partiti che si oppongono ad uno Stato totalitario o totalizzante sono cristiani e sostengono i diritti inviolabili dell’individuo. Una volta al potere queste organizzazioni sociali – secondo Ferrero – si convertono al paganesimo. La contraddizione è presente in seno agli stessi popoli.

In ogni paese ci sono due “razze”: i giudei-cristiani e i greco-romani. Il primo gruppo di individui ritiene che il successo, la potenza, la ricchezza abbiamo una giustificazione intrinseca. Il vincitore è colui che ha ragione per il fatto di aver vinto. Il male suppone sempre un errore; il successo è comunque meritato. Ogni gerarchia sociale ed ogni forma di dominio indica una superiorità reale. «Le pouvoir ne se trompe jamais».

Il pensiero pagano può riconoscere che determinati mezzi usati per acquisire il potere, la ricchezza o il successo siano immorali: tuttavia è pronto a giustificare, come Machiavelli, l’uso di quei mezzi come inconvenienti inevitabili. L’azione ed il successo sovrastano i comandamenti della morale.

Per il pensiero giudaico-cristiano il successo, la potenza e la ricchezza devono rendere conto dei mezzi usati e dei risultati che hanno prodotto. Sono i discendenti di quegli uomini che hanno fame e sete di giustizia ai quali il discorso della Montagna ha promesso che saranno saziati.

In attesa dell’avverarsi della promessa vedono il mondo pieno di ingiustizie, se ne addolorano e fanno di tutto per correggerlo. Per questo gruppo di uomini la morale comanda l’azione e non viceversa. Cristiani e pagani vivono insieme credendo di trovarsi tutti d’accordo nel torrente dell’attività moderna. Invece sono la causa oscura di molti drammi pubblici e privati.

In tutti i paesi dell’America e dell’Europa scoppiano violenti conflitti politici che evolvono fino ad una violenza estrema. Conflitti che non hanno obiettivi politici o economici ma un principio morale. Alla base di quei conflitti, per Ferrero, c’è la lotta tra il paganesimo e il cristianesimo, tra lo Stato divinità e l’individuo sovrano. Si tratta di un conflitto permanente che è una delle grandi conquiste della nostra civiltà.

Grazie ad esso si è raggiunto un equilibrio tra lo sviluppo della potenza dello Stato e quello altrettanto decisivo per la società, lo sviluppo dell’individuo e dei suoi diritti. A distanza di quindici anni dalla guerra europea il paganesimo conquista terreno. Trionfa nei paesi in cui la potenza dello Stato moderno sta degenerando in tirannia e si serve di tutte le risorse e le armi per sopprimere tutte le libertà, in specie la libertà di pensiero e di coscienza.

Il paganesimo trionfa nel servilismo crescente per il potere che si generalizza e soprattutto nell’ammirazione morbosa per tutti gli avventurieri, del passato e del presente, che sono riusciti a conquistare il diritto di governare violando le leggi, attraverso un colpo di forza; nel delirio della forza che s’impadronisce poco per volta di tutte le classi e di tutti i popoli, come se non potessero percepire la propria potenza se non opprimendo un’altra classe o un altro popolo.

Il paganesimo trionfa nel misticismo del sangue e della guerra che esalta ancora troppo gli spiriti; in questa specie di ferocia voluttuosa di cui i costumi, gli spettacoli, i gusti cominciano ad inzupparsi, nell’influenza crescente che il denaro esercita sulla politica e sulla vita intellettuale.

Così fecondo, potente e utile quando organizza e dirige gli sforzi produttivi del lavoro umano, il denaro si isterilisce e diviene funesto quando vuole dirigere gli Stati o corrompere l’intelligenza del mondo.

Tutte queste aberrazioni, questi eccessi, questi errori sono il risveglio dello spirito faraonico, provocato dalle guerre. Bisogna lottare contro questi risvegli riportando negli spiriti l’eterno messaggio di Cristo5; che chi ha fame e sete di giustizia sarà saziato, che la terra sarà posseduta dai miti.

Se passerà il messaggio di Cristo – afferma Ferrero – avremo società fondate sulla giustizia e sulla ragione: gerarchie basate non sulla paura ma sul rispetto sincero e sulla subordinazione volontaria. Si svilupperà un’umanità guarita da questa follia di morte e di distruzione che la insanguina da secoli. Da quella follia provengono tutte le passioni malvage che minano la convivenza civile: orgoglio, ambizione, cupidigia, odio e vendetta.

Questo è il messaggio che ci consegna Ferrero, attualissimo in un’epoca di rinascita dei nazionalismi, di chiusura delle frontiere ai migranti, di riduzione della libertà di stampa, di riarmo unilaterale, di razzismo e di volontà di ritirarsi dai trattati internazionali.

 

Note con rimando automatico al testo

 

1 Nasce a Portici nel 1871 e muore in Svizzera, esule, nel 1942. Avversario risoluto del fascismo, dopo la pubblicazione, nel 1925, del volumetto La democrazia in Italia – dove mette in luce il cesarismo di Mussolini – gli viene ritirato il passaporto e si rifugia nella casa di campagna in Strada in Chianti vicino a Firenze, sotto stretta sorveglianza della polizia. Nel 1930, anche grazie all’intervento del Re del Belgio, riesce a espatriare in Svizzera, insieme alla moglie Gina Lombroso, dove rimarrà fino alla fine insegnando presso l’Università di Ginevra e l’Institut universitarie des hautes études internationales. Qualche mese prima di morire Ferrero riceve la buona notizia della pubblicazione di Potere, la summa del suo pensiero, da parte di un editore di New York.

2 G. Ferrero, La rovina della civiltà antica, Milano, SugarCo, 1988, p. 47.

3 L. Pellicani, Bonapartismo e totalitarismo, in Aa. Vv., Nuovi studi su Guglielmo Ferrero, a cura di L. Cedroni, Roma, Aracne, 1998, pp. 18-21.

4 G. Ferrero, Un sociologo arabo nel secolo XIV, in «Riforma Sociale», 1896, fasc. 4, pp. 221-235.

5 G. Ferrero, La fin des aventures, Paris, Les Edition Rieder, 1931.