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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Adolf Loos, Parole nel vuoto

 

 

Adolf Loos

Parole nel vuoto

 

 

Milano Adelphi, 1992,12a ed, p. XXVIII-373,
ISBN 9788845909351,
15,00

 

 

 

 

 

Parole nel vuoto fu pubblicato per la prima volta in Italia nel 1972 nella “Biblioteca Adelphi”, e da allora la prestigiosa casa editrice di Roberto Calasso ha continuato con successo di vendite a ristampare il libro, creandone nel 1992 una seconda versione, tuttora in commercio, per la collana “Gli Adelphi”. Parole nel vuoto raccoglie due antologie di scritti del grande architetto Adolf Loos, la prima dal titolo originale di Ins Leere Gesprochen, pubblicata nel 1921 (cfr. facsimile del  testo originale), e la seconda, Trotzdem, nel 1931.

Parole nel vuoto sono articoli sparsi, in gran parte legati all'esposizione per il giubileo del 1898, quando il 28enne Loos aveva scelto di vivere a Vienna dopo la breve esperienza americana. Trotzdem, che in italiano risulta tradotto con Nonostante tutto, risale a una citazione di Nietzsche, Alles Entscheidende entsteht trotzdem (Ciò che è decisivo si compie nonostante tutto).

Il senso di quella citazione, che Loos scelse nel 1930 per introdurre e intitolare i suoi scritti principali, tra cui i due fondamentali “Ornamento e Delitto” del 1908 e “Architettura” del 1910, è proprio decisivo: Loos sa che i suoi scritti di venti, trenta anni prima hanno indovinato il futuro, hanno saputo vedere lontano e quindi si atteggia giustamente a profeta, lui che ha assistito alla sconfitta dell'impero asburgico nella prima guerra mondiale, che ha visto il proprio paese frammentato, diviso e ridotto a un satellite dell'Europa centrale, e che ha visto avverarsi l'agognato trionfo culturale della Gran Bretagna e degli Stati Uniti: eventi cruciali, che dovevano accadere. 

Nel 1930 Loos ha sessant'anni; a breve - nel 1933 – morirà precocemente. La sua attività di architetto resta limitata, nonostante la fama raggiunta, ma il suo nome e le sue scelte negli ultimi cent'anni non sono stati affatto dimenticati e periodicamente rispuntano, ritornano, si riaffermano. Per motivi non evidenti, l'Italia è uno dei paesi in cui più spesso Loos è citato e studiato, a partire da un importante contributo del 1959 a firma di Aldo Rossi, per arrivare alle numerose monografie pubblicate negli ultimi dieci anni.

Come detto, gli articoli della prima raccolta datano al 1898-1900 e si riferiscono principalmente al costume, alle tradizioni e alle arti applicate; Loos stesso nell'introduzione (pag. 3) scrive che i saggi “furono composti in un'epoca in cui ero costretto ad esprimermi con estrema cautela. Per motivi di ordine pedagogico dovevo formulare ciò che veramente pensavo in proposizioni che, a rileggerle a distanza di anni, mi hanno sempre provocato una violenta irritazione”. Aggiunge poi che furono pubblicati solo nel 1920 a Parigi perché “nessun editore tedesco osava pubblicarli”. Tra l'altro, Loos scriveva senza le maiuscole obbligatorie in tedesco per i sostantivi, e ne critica con veemenza l'uso, citando a proprio vantaggio l'illustrissimo Jacob Grimm. Che i tedeschi, termine con cui Loos accomuna i cittadini dei due imperi prussiano e austro-ungarico, siano arretrati rispetto agli anglo-sassoni, è una delle chiavi di riferimento costanti per capire gli scritti e il pensiero di questo singolare personaggio.

La seconda antologia è comunque molto più importante e interessante. Contiene alcuni brani dai due numeri di “Das Andere” del 1903, rivista che l'architetto pubblicò in allegato alla Fackel dell'amico Karl Kraus (il facsimile digitale di Das Andere si può rintracciare in rete senza difficoltà, mentra la traduzione italiana del 1981 è fuori commercio); a seguire, una serie di testi più o meno ampi, dal 1907 al 1929. Rileggere o scoprire oggi questi scritti fornisce una serie di sorprese notevoli e spesso fulminanti, soprattutto se li si confronta con quelli degli architetti del razionalismo, tutti tesi a inventare realtà nuove, città nuove, architetture nuove, destinate in realtà a vita breve. Loos non ama il nuovo per forza, anche se lo si è collocato tra i proto-razionalisti; Loos vuole una civiltà avanzata, sobria, elegante e la chiama semplicemente “occidentale”. E' un classicista e un tradizionalista a tutti gli effetti; lo dice in modo esplicito quando, nel saggio “Architettura” del 1910, elogia Schinkel: “Sulla soglia del diciannovesimo secolo c'era Schinkel. Lo abbiamo dimenticato. Possa la luce di questa straordinaria figura illuminare la nostra futura generazione di architetti” (pag. 256). Lo dice e lo ripete ancor più chiaramente in molte occasioni diverse, ad esempio nello scritto del 1914 che si intitola “Arte nazionale”: “Io sono per l'architettura tradizionale. Un edificio esemplare per il Graben è quello della Cassa di Risparmio, Dopo la costruzione di questo edificio la tradizione è stata abbandonata ...” (pag. 277).

Loos rivela classicismo e tradizionalismo naturalmente anche quando progetta, o meglio abbozza, la colonna dorica in granito nero che doveva diventare il grattacielo del Chicago Tribune; quando pone tre copie delle metope del Partenone su una parete di villa Rufer; quando pone all'ingresso del suo edificio più celebre, il palazzo di Michaelerplatz nel cuore della capitale asburgica, quattro colonne tuscaniche di lucido marmo verde cipollino.

Ci voleva poco in effetti a confondere la sobrietà di Loos con il funzionalismo di Gropius e molti studiosi e storici sono caduti nell'equivoco. Certamente, alcuni aspetti del discorso progettuale di Loos possono coincidere con i risultati funzionali dei maestri del Bauhaus o di Le Corbusier, ma la formula di Loos non segue i dettami del funzionalismo, che danno alla forma un ruolo conseguente alla funzione; per Loos esiste una forma a priori, quella della casa o della chiesa o della scuola o dell'albergo, e a queste forme, o tipi, dettati dalla tradizione ci si deve adeguare. Solo quando una forma appare non ancora perfetta ci si può lavorare sopra, correggendola e integrandola; ecco allora la nascita di progetti che prevedono slittamenti o sfasamenti formali, integrando strutture nuove su impianti murari del tutto normali.

Fu anche profetico nei riguardi del legno, sul quale oggi è in atto una sorta di controrivoluzione strutturale che lo pone tra i materiali del futuro; Loos lo preferiva al cemento armato, e propagandava l'holz-zement, vale a dire delle pannellature in legno consolidate da cemento in grado di fornire l'ossatura per coperture piane (anche le case di montagna secondo lui dovrebbero avere tetti piani, per evitare che la neve frani sulle strade). Loos usa materiali nuovi solo se migliori dei vecchi, mentre l'uso di tecnologie in voga solo per questioni di gusto lo lascia freddo.

Ma naturalmente se si parla di Loos si deve parlare di ornamento. In questo ambito, si manifesta il contatto maggiore con i razionalisti, che si opposero alle decorazioni con la stessa energia del maestro austriaco. Il motivo dell'antipatia di Loos per le decorazioni è tuttavia spiegabile anche con l'ambiente Sezession in cui egli si trovò a lavorare tra la fine dell'Ottocento e la Grande Guerra; Olbrich, Hoffmann, Van de Velde sono i nemici giurati di Loos per vari motivi, anche professionaliAdolf Loos, e le loro scelte leziose e spumeggianti negli abbellimenti di vestiti, gioielli, stoviglie, oltre che nelle finiture delle case, irritano profondamente Loos. Non a caso “Ornamento e Delitto”, che si occupa molto più di oggetti e di quotidianità che di architettura, comincia con un veemente atto di accusa ai tatuaggi; oggi che i tatuaggi sono estremamente popolari in occidente la cosa potrà apparire sgradevole a molti, ma ha una sua base logica e morale, da non confondere con le tragicomiche conclusioni alle quali giunge Loos, che vede le persone tatuate comunque destinate a finire in galera: “Gli individui tatuati che non sono in prigione sono delinquenti latenti o aristocratici degenerati” (pag. 218). Ma il tatuaggio viene utilizzato come metafora decisiva dell'ornamento artistico: non serve a nulla e imbruttisce anziché abbellire. Anche una modanatura piena di riccioli e ghirigori non serve a nulla, soprattutto quando è sovrapposta alla struttura e la nasconde. Loos diventa addirittura marxista quando scrive che “l'ornamento è forza di lavoro sprecata e perciò è spreco di salute. E così è stato sempre. Ma oggi esso significa anche spreco di materiale, e le due cose insieme significano spreco di capitale” (pag. 223).

Una raccomandazione: se la lettura di questi scritti è stata piacevole e sorprendente per il lettore che non conosceva Loos, vale la pena di acquistare altre cose su di lui, ad esempio il saggio incisivo di Massimo Cacciari “Adolf Loos e il suo angelo” e il ritratto scritto dalla sua terza moglie, “Adolf Loos Privat”, che ci restituisce un personaggio ironico, alla mano, e irresistibile nella sua vitale esuberanza.