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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Ubaldo Fadini, Divenire corpo. Soggetti, ecologie, micropolitiche

 

 

Ubaldo Fadini

Divenire corpo.
Soggetti, ecologie, micropolitiche

 

 

Verona, Ombre corte, 2015, pp. 141, ISBN 8869480046, € 13,00

 

 

 

 

In un testo di orditura complessa, di lettura impegnativa e di forte tensione militante, pervaso da un pathos della verità che è istanza di critica radicale della configurazione presente della biopolitica e del capitalismo cognitivo, di cui si traccia uno schema di nuova concettualizzazione, Fadini costruisce la sua griglia analitica sulla base dell’ontologia post-strutturalista, dell’antropologia filosofica, della filosofia morale, delle scienze umane, e di un robusto apporto della critica dell’economia politica nella definizione delle forme specifiche della fenomenologia del Capitale al presente e delle “avventure” del soggetto in questo contesto epocale. Libera da riduttive ortodossie, l’analisi di Fadini disegna una linea ermeneutica sorretta da un rigoroso apparato di rimandi alla letteratura di riferimento e alle discussioni in corso, che ricostruisce l’intreccio possibile tra istanza benjaminiana di un corpo che consenta alla natura antropologica di sfuggire all’antagonismo con la natura e al dominio del capitale (si tratta del «corpo vivente della forza-lavoro, costituito da saperi e abilità, come qualcosa che non perde il suo valore d’uso non lavorando più per il capitale», p. 45) e le recenti teorizzazioni (di C. Marazzi, G. Berta e altri, cfr. pp. 42 sgg.) sul capitalismo cognitivo e l’inserzione del capitale fisso nel capitale variabile, più volte richiamata come asse di una nuova interpretazione del modo di produzione in termini di micropolitica (p. 56), cioè di una politica dalle mille pieghe, capace di «una spesa differente delle concatenazioni macchiniche, non destinate così alla loro (s)qualifica nel senso dell’asservimento» (p. 57) del lavoro materiale e immateriale della soggettività operaia. I concetti-chiave del paradigma marxista sono in tal modo potenziati nella loro carica di espressività e pregnanza teoretico-pratica, in una felice congiunzione di prospettive, tra scuola di Francoforte e pensiero nomade deleuziano-guattariano, con un ricco ventaglio di escursioni sui cambiamenti in corso nell’infrastruttura del modo di produzione capitalistico, sul nuovo ruolo delle forze produttive rispetto alla tecnica, sul General intellect e i suoi saperi e sul rapporto tra lavoro morto (macchine) e lavoro vivente (le “forze produttive”) dotato di una «incoercibile vitalità» (p. 49).

Tali analisi vengono ricondotte ad alcune fondamentali elaborazioni guattariane. Fadini dichiara sempre le mosse della sua indagine filosofica, tra territori e contesti apparentemente difformi, puntando il suo focus su alcune nozioni-cardine della critica dell’economia e del materialismo storico marxiano e sull’economia libidinale deleuziana-guattariana. Le riflessioni di Guattari sul “capitalismo mondiale integrato” e la “gestione del capitale di conoscenza” inducono a procedere sulla strada di un incrocio di teoria dei flussi deleuziano-guattariani e Grundrisse di Marx sul processo qualitativo complesso, comprensivo di componenti relazionali, cognitive e tecnologiche, non misurabile in termini di orario di lavoro, dell’estorsione di capitale, ma analizzabile come “asservimento macchinico”, tale che il problema dello sfruttamento si sposta nei termini di un «concatenamento macchinico» (p. 55). Fadini salda la tematica guattariana del «corpo vivente ibridato tecnicamente, costitutivamente eteropoietico, in grado di far fonte all’imposizione di un sistema sottile di dipendenza generalizzata» (p. 58), il corpo della rivoluzione molecolare guattariana, con il tema benjaminiano dell’«allentamento dell’io», in opposizione ad un capitalismo che si impadronisce degli esseri umani dall’interno (p. 58). Si tratta appunto di quel divenire-corpo cui accenna il titolo del volume: «un corpo vivente multiplo che forza la logica capitalistica attuale del prelievo a tutti i costi degli effetti del suo potenziarsi/autovalorizzarsi, del suo eventuale auto-normarsi» (p. 58). Un corpo che non sarà il soggetto, da non prendersi più sul serio, ma un insieme di «componenti di soggettivazione» (cfr. F. Guattari, Le tre ecologie, Casale Monferrato, Sonda, 1991, p. 59), con tutte le implicazioni anti-antropocentriche e anti-speciste.

La riflessione antropologica, a partire dal Gehlen de L’uomo nell’era della tecnica sino al transumano e al cyborg, conduce l’Autore a riflettere sul rapporto tra uomo e tecnica e sul rapporto tra soggetto, utensili e macchine, sulla macchina nella sua dimensione inconscia e come aspetto della corporeità, sul cedimento di confine tra organismo umano e tecnica, sull’ibridazione tra umano e macchinico e sui loro innumerevoli divenire. All’ecosofia di Guattari, così come alla riflessione anticapitalistica dell’ecologia politica di Gorz è rivolta una specifica attenzione, per metterne in valore la rilettura delle coppie marxiane: valore d’uso/valore di scambio e capitale fisso/capitale variabile in una rielaborazione dell’ontologia macchinica del desiderio (pp. 80-85). L’ecologia politica diventa la dimensione teorica e pratica della critica del liberalismo nel Guattari de Le tre ecologie (p. 80) e nel Gorz che pensa la contraddizione tra ricchezza capitalistica e ricchezza umana, accentuata dall’identità tra alienazione esistenziale e sfruttamento della forza-lavoro nel capitalismo cognitivo odierno (p. 93). Soprattutto la divaricazione tra strumenti-utensili e macchine e l’inserzione di elementi di capitale fisso (non inerte, immateriale) nella soggettività e nell’individualità operaia produce una polarità del lavoratore soggetto “parziale” (con la ripresa di temi dell’antropologia di Gehlen e di Anders). Il superamento di una concezione compensativa dell’utensile consente una riflessione profonda sulle relazioni o meglio sul terreno di ibridazione tra forma di soggettività (forza-lavoro) e tecnica, rappresentata dalla “macchina”. Il tracciato è quello di una «macchina desiderante» che sia anche una «macchina sociale e tecnica» (p. 21) e dell’inconscio libidinale dell’economia politica (p. 23). Ma le piste di ricerca non finiscono qui e si snodano, a partire da Deleuze, Guattari e Benjamin, sul ruolo della tecnica e degli utensili macchine nell’infrastruttura capitalistica, all’interno della svolta del “capitalismo cognitivo” o “biocognitivo”. Il Benjamin interrogato da Fadini è un Benjamin “dopo Benjamin”, convocato per riattraversare la dimensione d’indagine di Deleuze e Guattari, nell’investigazione di una «grande povertà» che, segnata dall’epoca successiva alla prima guerra mondiale, determina una scossa alla soggettività creativa, costringe a «prendere le distanze, arretrare» (p. 29), a far piazza pulita e spazio. Attraverso una scrupolosa e appassionata disamina dei testi benjaminiani l’Autore penetra la questione cruciale dell’«allentamento dell’individualità dell’io indirizzato» (p. 35) o dell’io «molarizzato» attraverso un’articolazione assai ardua della lettura di Benjamin filtrata attraverso Adorno. Emerge la figura di un corpo collettivo “fisico” dell’antropologia di Benjamin e la prospettiva di una nuova physis, attraverso la tecnica che apre ad un contatto «con il cosmo in forme differenti da quelle attuali» (p. 39) e che, prodottosi nella prima guerra mondiale, ha, nelle rivolte «venute poi», consentito di acquistare la padronanza di un nuovo corpo collettivo.

L’inserzione del capitale fisso nel variabile e il plusvalore “macchinico” di cui scrivevano Deleuze e Guattari aprono la prospettiva di mutazioni del desiderio, perché, con Guattari, bisogna riconoscere che il capitalismo si impadronisce degli individui dall’interno, cattura una forza di lavoro e di desiderio e che diventa necessario «pensare le mutazioni di desiderio, le sue mille pieghe che derivano anche dal complicarsi del nesso di corpo e tecnica» (p. 58). L’allentamento dell’io, di cui sopra, rende possibile la messa in campo di pratiche micropolitiche di radicale messa in discussione del sistema odierno di dipendenza e di controllo, quella di un “corpo vivente multiplo” che forza la logica capitalistica attuale di esproprio per porsi come autovalorizzazione nell’unione virtuosa di vita e tecnica, che rimanda a Benjamin e a Deleuze-Guattari.

Questo corpo multiplo e fisicamente collettivo si specifica nella pratica delle ecologie e delle politiche radicali: l’ecosofia critica di Guattari o l’ecologia di Guido Viale, l’antropologia dell’uomo incompleto e “senza mondo” di Anders. È sulla strada del ripensamento dei rapporti tra uomo e tecnica, infatti, nell’età del capitalismo bio-cognitivo e delle metamorfosi della soggettività contemporanea che Fadini incrocia Günther Anders, il pensatore della “vergogna prometeica” e dell’uomo “senza mondo”, che riflette dal punto di vista dell’antropologia negativa sulla possibilità dell’annullamento dell’uomo, sugli effetti distruttivi e sull’impianto totalitario del nucleare, nel quadro dello sviluppo-involuzione di un’umanità plasmata dallo sviluppo della tecnica. Anche in Anders, sembra che sia soprattutto il carattere militante e radicale del suo pensiero ad interessare Fadini. L’uomo che fabbrica macchinalmente macchine, la parzialità dell’uomo, la sua artificialità, la sua instabilità rimandano alla sua astrazione, cioè alla libertà di fronte al mondo, che apre la possibilità di un rapporto nuovo con l’utensile e con la macchina, che soltanto una visione macchinica e desiderante come quella di Deleuze e Guattari, nella loro identificazione del desiderio con la macchina e la produzione di concatenamenti e, in termini micropolitici, di poteri che ne derivano, possono aprire. L’ermeneutica prognostica di Anders si pone come «uno sforzo di interpretazione che vuol supportare/sostenere un eventuale (fortemente auspicato) movimento di resistenza alla ‘destinazione’ apparentemente finale dell’umanità, sempre più catastroficamente assorbita dal dinamismo proprio della megamacchina capitalista» (pp. 122-123). Il carattere indefinito dell’uomo dell’antropologia negativa di Anders, così come la sensibilità ecologico-politica di Gorz e la “povertà” dell’esperienza di Benjamin consentono una lettura materialistica della fase fordista del capitalismo contemporaneo, con i suoi effetti nel campo soggettivo, e preparano, nella fase post-fordista, biocognitiva del capitalismo, le contromosse a partire da una filosofia sociale radicale (p. 126). L’uomo essere naturalmente e culturalmente parziale secondo l’idea humeana ripresa da Deleuze, così come l’esperienza povera di Benjamin, aprono la possibilità della costruzione-sperimentazione di un corpo nuovo, in un rapporto con l’altro, che è congiunzione di flussi e di intensità materialisticamente centrata sul sensibile, escludente gerarchie patriarcali. Si tratta della melvilliana “società dei fratelli” in cui «l’alleanza sostituisce la filiazione e il patto di sangue la consanguineità» (p. 138) in un mondo colto nel suo farsi come arcipelago pragmatista e immanentista, in cui al soggetto proprietario subentra una “comunità di esploratori”, i fratelli dell’arcipelago, che hanno fede in questo mondo. Il corpo collettivo fisico, risultato dell’allentamento dell’individualità, dell’Io (Benjamin, cfr. p. 32), è l’innervazione fisica del collettivo “essere sempre inquieto, sempre in movimento” perché, grazie all’impoverimento dell’esperienza, diventa possibile la sua estrema riattivazione, applicabile all’epoca presente dell’inserzione del capitale fisso nel variabile e dell’ibridazione della soggettività vivente con la macchina, registrata dal cyborg. Il Desiderio diventa “il Reale in se stesso”, il Desiderio macchinico dell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari o la comunità in cui «lavoro, cultura, comunicazione, piacere, soddisfazione dei bisogni e vita personale possano e debbano essere una sola e stessa cosa: l’unità di una vita» (A. Gorz, cit. a p. 103), che è la stessa comunità dei «dissidenti del capitalismo digitale» che saggiano le vie di uscita dal capitalismo nell’appropriazione/soppressione del lavoro (p. 107). Leggere Fadini significa seguire le piste di una discorsività filosofica stringente e appassionata, sulle orme del pirata Deleuze, alle prese con l’esplorazione dell’Arcipelago filosofico novecentesco e post-novecentesco.