AZIONI PARALLELE 
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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
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Oblio e memoria

 

 

Non c’è fuoco o gelo che possa sfidare ciò che un uomo può immagazzinare nella memoria

F. Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby

Sembra che il pensiero occidentale, da Platone in poi, non sappia muoversi al di fuori dell’anamnesi e che il desiderio di ricordare risponda ad un’esigenza profonda di sicurezza.1 Ma l’uomo è un essere che dimentica. Il rovesciamento dell’orizzonte platonico, lo smemoramento contro la rammemorazione (l’Andenken heideggeriano) è il rischio sempre presente, nell’ambito della memoria, individuale e collettiva. I ricordi sono circoscritti dall’oblio, come i concetti sono circoscritti dal caos del divenire: si pensa sempre contro l’impensabile, il caos, si ricorda ai bordi dell’oblio, circondati da esso e attraverso di esso, incapaci di mantenere il governo della nave della memoria.2 La conoscenza è, per Deleuze, un taglio, una coupure nel divenire3 e, rispetto alla continua azione dell’oblio, una specie di durasiana diga contro l’Oceano. Il principio di sicurezza esige un orientamento nel tempo, un’organizzazione delle sue latitudini, una disciplina dell’immaginario, una classificazione dei frammenti del passato, sotto forma di ricordi, tracce, rilievi, per disegnare mappe e topiche in cui si eserciti il nostro potere di saltare nel passato, installarsi nei suoi livelli, catturarlo, e ricondurne alla coscienza immagini e segni. Nella memoria il “soggetto” cerca essenzialmente la sicurezza di sé, costruisce un piano stabile, in cui insediarsi, per penetrarne il paesaggio. I gradi di tensione della memoria e lo sforzo di espansione che compie per localizzare i ricordi possono però fallire. L’oblio si presenta come una rottura della nostra storia individuale4 che rivela la natura della memoria: non un deposito di cose morte, ma un campo di forze e di molteplici piani, in cui la coscienza, contraendosi ed espandendosi, gioca le sue chances. «La statua glorifica il marmo» scriveva Blanchot. La statua è però il prodotto di una demolizione, di una sottrazione di marmo. Lo stesso si può dire dell’oblio. Ma chiediamoci: l’oblio è veramente la negazione della memoria? Nell’oblio si elimina la solidarietà tra memoria-abitudine e memoria integrale del passato, ricordi recenti e remoti? I risultati delle indagini cliniche e delle esplorazioni filosofiche convergono: l’oblio è un sistema dinamico di strati e livelli, si articola in una molteplicità di modi, proprio come la memoria, ed è sempre legato ad affetti, a situazioni emotive, patologiche e normali, in cui si vive la temporalità. La potenza selettiva dell’oblio – come avviene nell’Eterno ritorno dell’Identico nietzscheano5 – glorifica la materia del passato: gli oggetti, gli atti, i simboli, le cifre del suo passaggio, le stazioni e i transiti e i passaggi del suo snodarsi. L’attualizzazione dei ricordi puri, virtuali, rappresenta sempre, congiuntamente, un taglio, un’esclusione: il presente, l’attuale si colloca su un piano diverso dal virtuale, il passato puro. È inevitabile il rischio di perdita, di abbandono del passato: l’oblio. Noi non portiamo il presente nel passato, perché esso lo è già da sempre. Scaviamo i giacimenti della memoria, per corroborare il nostro senso di sicurezza, la posizione di soggetto, in vista dell’azione, che può aprirsi, almeno sul piano etico “spinoziano”, ad un’avventurosa esplorazione di dimensione “cosmica”.6 In quanto “soggetti” ci rendiamo estranei alle linee divergenti e anomale che il divenire produce, al mondo dei viventi o cosmo in nome di un retro-mondo o sovra-mondo che la metafisica spaccia per fondamento, guadagnandone in attribuzione di senso, in identità certa. Il mondo nel quale viviamo si colloca in una rete che, in termini deleuziani, si può definire uno “spazio mentale striato”, cioè gerarchizzato. Una memoria gerarchica sarà uno spazio di questo tipo, che cerca di sradicare la possibilità stessa del fallimento, dell’abbandono all’oblio. Ma, per Deleuze, il Piano di consistenza o di immanenza

ignora le differenze di livello, gli ordini di grandezza e le distanze […] tra l’artificiale e il naturale. Ignora la distinzione dei contenuti e delle espressioni, come quella delle forme e delle sostanze formate, che esistono solo mediante gli strati e rispetto agli strati.7


Ciò può significare che è il passaggio allo spazio mentale “liscio” ad incaricarsi di affrontare il disordine di un ordine fittizio (quello delle metafisiche e dei poteri) come il suo problema principale. Il caos e l’oblio diventano la sfida della sua attività. Se Paul Ricœur, nell’opera
Dell’interpretazione. Saggio su Freud,ha indicato l’oblio come origine della riflessione, situazione iniziale a partire dalla quale si possa recuperare “qualcosa che dapprima è stato perduto”, separato dall’io e divenuto estraneo, per cui ricordare diventa, in tale contesto, un compito di valenza morale, Gilles Deleuze collega invece la memoria alla fenomenologia del desiderio e all’intervento attivo della potenza di oblio, che si declina necessariamente nel dispositivo di memoria. La memoria inizia con uno “scarto” che è l’alba della soggettività e si compie nella contrazione in cui, nella coesistenza di passato integrale e presente, essa si inverte e si converte, per vibrare verso il futuro.8 Ricordare, dunque, ha sempre a che fare con una distanza e con un divenire, cioè con il desiderio, che non è altro che un passare per i divenire, una relazione tra due termini eterogenei che si deterritorializzano e, dal punto di vista del soggetto, l’apertura ad un’altra maniera di sentire e vivere, che s’inviluppa nella nostra e la fa fuggire. Il desiderio ha, infatti, delle linee profonde di relazione, che congiungono il “cuore” della “piega”, cioè della soggettività prodotta dall’essere e messa a punto come abito e punto di vista, con il corpo. Il sopravvenire del desiderio, la sua pienezza che non manca di nulla è, allora, per noi, un evento, una cesura, un punto di disgiunzione nella serie cronologica dei presenti, che, in un certo senso, interrompe il tempo per riprendere, con uno slittamento di senso, su un altro piano. L’evento insomma si produce nel tempo, ma non vi si riduce, costituendo un tempo vuoto o morto, condizione stessa delle serie cronologiche. Solo degli uomini “semplici”, i più “naturali”, o degli scrittori maledetti, i più possibilmente “anormali”, sembra, secondo Deleuze, che abbiano familiarità con esso, emancipandosi dalla soggezione ad un’eternità mitologica, “fuori del tempo” e trascendente. Soffermiamoci un momento sulla nozione di “piega” in rapporto alla coppia “memoria-oblio”. Non bisogna pensare, per Deleuze, la piega a partire da un centro “puro”. La piega è un taglio dell’Essere, una replicazione-sdoppiamento-piegatura del suo dispositivo ontologico. È il Fuori che genera un dentro.9 Lo stesso piano di immanenza, il movimento assoluto al di là dell’oggetto e del soggetto, in Che cos’è la filosofia, non è concepibile senza riferirsi alla piega, figura centrale del saggio su Leibniz e il Barocco.10 Il risultato de La piega. Leibniz e il Barocco (già intravisto nel volume su Foucault) è la scoperta della possibilità di una nuova posizione della soggettività come espressione del piano di immanenza. Il “residuo minimo” di soggettività di Mille piani viene così, nella elaborazione successiva, riletto in chiave ontologica. Che cosa accade? Avvolgendosi, piegandosi, ripiegandosi su di sé, l’Essere definisce, con il limite, anche un dentro, a partire dal quale il pensiero svolge ciò che avvolge, dal dentro al fuori. Il pensiero si flette perché riflette le forze del fuori, la cui attività definisce un limite. La riflessione diventa il prodotto di un rapporto di forze, in cui il dentro e il fuori si forzano e si sforzano:

Il momento più profondo dell’intuizione è dunque quello in cui il limite è pensato come piega, e in cui di conseguenza l’esteriorità si rovescia in interiorità. Il limite non è più quel che intacca il fuori, ma una piega del fuori. È un’auto-affezione del fuori (o, il che è uguale, della forza […] il limite comune delle forze eterogenee, che esteriorizzano completamente gli oggetti o le forme, è l’azione stessa dell’Uno come piegamento di sé.11

L’identità di pensiero ed essere, invocata da tanti pensatori come principio dell’ontologia, diventa così possibile, e dunque reale, quando esso diventa una piega, «la cui essenza vivente è la piega dell’Essere».12 Questo intreccio modifica lo statuto dell’intuizione filosofica, la funzione della memoria e dell’oblio, con inevitabili connessioni che, a partire dall’idea di “soggettivazione”, si riflettono sulla concezione del tempo, che si emancipa dal movimento in senso fisico-matematico, e sulla concezione del mondo, che si emancipa dalla trascendenza.13 L’interiorità diventa uno spazio del dentro, co-presente e coestensivo allo spazio del fuori, sulla linea della piega e cessa di presentarsi come un principio ontologico indipendente dall’Essere univoco14 nella piega, diventando il raddoppiamento, la piegatura del fuori in un dentro. Ora, nella piega, è l’Essere stesso che si fa Memoria, memoria di sé e del mondo, integrale memoria del passato o intuizione della Durata. La formula rinvia alla riflessione bergsoniana,15 che Deleuze accoglie e di cui formalizza l’impianto immanentistico. L’essere del Tempo, in cui la Memoria è iscritta, si “soggettivizza” grazie alla piega e sotto la condizione della piega, ma la memoria non può più in nessun caso considerarsi un’attività del soggetto, sottoposto com’è, in quanto isola di ordine, punto di vista, al continuo costruirsi e svanire e ridotto, quindi, ad una forma in continua formazione-deformazione: inflessione, piegatura, spiegatura, ripiegatura del Fuori. Non si tratta più soltanto, come avveniva in Mille piani,16 di conservare un’oncia di soggettività, necessaria a quel “piano di immanenza”, che tende ad assorbire la Terra, il cui compito è il taglio del caos delle forze del divenire. Si tratta invece di risolvere la soggettività, che si dilata e si contrae nel ricordare, nell’ontologico puro o nell’essere in sé, il Virtuale del passato.17

L’Essere si dà dunque come Memoria o meglio come Durata. La memoria non è la creazione di un soggetto ipostatizzato e di un’interiorità presupposta e trascendente gli eventi, come in Platone, che

mette il tempo nel concetto ma questo tempo deve essere l’Anteriore. Costruisce il concetto ma come testimone della preesistenza di un’oggettività, sotto forma di una differenza di tempo capace di misurare la distanza o la prossimità dell’eventuale costruttore. […] La verità si pone come presupposta, come già esistente.18

Uscire dalle nomenclature concettuali del platonismo, rovesciare le sue scatole vuote, confutarne le pretese di verità è l’esigenza imperativa di Deleuze. Gli Universali della metafisica sono soltanto grida nel deserto, vibrazioni minime, movimenti di palpebre in una fossa oceanica. La dimensione di “piega” della soggettività, emancipata dalla trascendenza e dall’ordine plurivoco (o “analogico”) dell’essere, si appresta alle sue catture, alle sue “cacce sottili”, ai tagli delle forze caotiche del divenire nel piano di immanenza, che

i concetti popolano senza dividere […]. Il piano assicura il raccordo dei concetti con delle connessioni in perenne aumento e i concetti assicurano il popolamento del piano su una curvatura sempre rinnovata, sempre variabile.19

La soggettività, si è visto, non scompare, ma riforma radicalmente se stessa, si configura nella dimensione virtuale dei suoi divenire, dei suoi flussi e delle sue metamorfosi.20 Gli io si confermano esistere soltanto come «soggetti larvali».21



Punto di oblio

 

Ogni vita è, si capisce, un processo di demolizione

G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani

 

Avviciniamoci alla memoria, a quella memoria pura che è tangente non soltanto al piano della percezione presente, secondo la nota immagine del “cono rovesciato”22 ma anche al punto di oblio,23 da cui parte la strategia di attacco del complotto (la “pretesa”) in cui il soggetto-piega opera, con la disposizione d’animo della sorpresa, con la velocità infinita del Piano d’immanenza. Il soggetto minoritario non cessa, malgrado tutto, di svolgere il suo ruolo e non si dissipa senza residui nei flussi di divenire.24La coppia categoriale striato-liscio (attribuita allo “spazio”, ma ad uno “spazio mentale”) di Mille piani, consente infatti di ridefinire i rapporti della memoria con l’oblio. In particolare lo spazio mentale liscio o nomadico significa cancellazione dei ricordi, l’oblio relativo e la negazione-scomposizione della sua organizzazione arborescente o striata. Ogni sedimento di memoria striata è connesso sia al “punto di vista” in cui il soggetto ha voce, che allo slancio di un sorvolo assoluto, alla velocità infinita del Piano di Immanenza. Si presenta così, nell’attualizzazione dei ricordi, in tutta la sua forza, quel radicamento della memoria nel territorio dell’oblio, da cui si generano le linee irregolari e le asimmetrie della memoria. Forse l’oblio non si può più pensare, secondo la celebre immagine dell’Introduzione alla Metafisica di Bergson, come un “fondo” inerte dal quale i ricordi affiorano per guadagnare la superficie (la coscienza), né come un limite che minaccia la memoria. Esso è potentemente attivo nel piano in cui la memoria opera il taglio dei ricordi e connette il passato recente con la memoria profonda, accessibile soltanto, nei suoi livelli molteplici e nei piani in cui cerchiamo di collocarli, nel sogno. Il carattere di flusso della realtà pura, la Durata, che incontriamo, secondo Bergson, procedendo dalla periferia verso il centro del soggetto, è infatti prima e fuori del taglio dei ricordi (“cristalli ben tagliati”) e della superficie delle percezioni di oggetti. La continuità di flusso fa sì che gli stati successivi si prolunghino l’uno nell’altro25 e siano più simili all’arrotolarsi «come quello di un filo sul gomitolo»26 in cui si costruisce la coscienza, cioè la memoria, con un’operazione nella quale la contrazione-tensione della “piegatura” assume un rilievo essenziale. Per Deleuze l’immersione nel caos del divenire spinge la memoria a varcare i bordi dell’oblio, a forzarne i limiti. Nell’inseguire i ricordi siamo inseguiti dall’oblio e incapaci di mantenere durevolmente la nostra direzione di viaggio, centrata sul presente di un ordine cardinale del tempo.27

La conoscenza si conferma essere un taglio (una coupure)28 del divenire: ciò che si conosce è circoscritto dal divenire caotico, ciò che si ricorda è circoscritto e definito dall’oblio, relativamente impenetrabile. Il caos mentale non cessa di esercitare la sua presa. La stessa biografia dei romanzi – la letteratura lo testimonia – e, aggiungiamo, quella continua biografia che scriviamo di noi stessi in ogni concatenamento, non riproduce e salva, ma elimina e demolisce porzioni del passato, ripetendolo su livelli e modalità sempre nuovi. La critica senza sconti del platonismo e della sua anamnesi, della psicoanalisi col suo psicologismo, mira alla costruzione speculativa di un percorso di uscita da tali territori:

Dove la psicoanalisi dice: Fermatevi, ritrovate il vostro Io, bisognerebbe dire: Andiamo ancora più lontano, non abbiamo ancora trovato il nostro CsO [Corpo senza Organi], non abbiamo ancora disfatto abbastanza il nostro Io. Sostituite l’anamnesi con l’oblio, l’interpretazione con la sperimentazione. Trovate il vostro corpo senza organi, sappiatelo fare, è una questione di vita o di morte, di giovinezza e di vecchiaia, di tristezza e di allegria. Ed è qui che tutto si gioca.29

Il paradigma del rizoma o del “corpo senza organi” elabora una via d’uscita nel movimento del nomadismo, il viaggio continuo e immobile in cui è possibile sperimentare e costruire la soggettivazione, al di là di ogni organizzazione e fissazione:

Consideriamo i tre grandi strati rispetto a noi, cioè quelli che ci imprigionano più direttamente: l’organismo, la significanza e la soggettivazione. La superficie d’organismo, l’angolo di significanza e d’interpretazione, il punto di soggettivazione o d’assoggettamento. […] Sarai un soggetto, e fissato come tale, soggetto d’enunciazione ripiegato sopra un soggetto d’enunciato, altrimenti non sarai che un vagabondo. All’insieme degli strati, il CsO [Corpo senza organi] oppone la disarticolazione (o le n articolazioni) come proprietà del piano di consistenza, la sperimentazione come operazione su questo piano (nessun significante, non interpretate mai!), il nomadismo come movimento (muovetevi anche stando fermi, non cessate di muovervi, viaggio immobile, desoggettivazione).30



Due memorie: lunga e corta

La filosofia deleuziana liquida

l’immagine classica del pensiero e [del]la striatura dello spazio mentale che essa opera […] con due “universali”, il Tutto come ultimo fondamento dell’essere od orizzonte che ingloba, il Soggetto come principio che converte l’essere in essere per-noi. Imperium e repubblica. Fra l’uno e l’altro, tutti i generi del reale e del vero trovano il loro posto in uno spazio mentale striato, dal duplice punto di vista dell’Essere e del Soggetto, sotto la direzione di un “metodo universale”.31

Confutata la tesi di un’appropriazione da parte del Soggetto umano della Realtà del passato (la Durata è l’essenza variabile delle cose, come insegna Bergson nel primo capitolo di Materia e memoria), Deleuze accoglie la divisione di due memorie: lunga e corta, arborescente e rizomatica. La memoria corta non comprende soltanto la dimenticanza, l’oblio, nel suo processo, ma, si potrebbe dire, che fa centro sull’oblio, cioè contrae, concentrandola al massimo, quella memoria del passato che saltando e istallandosi in esso, cioè dilatandosi, ha conquistato, secondo una modulazione e un’inclinazione asimmetrica. Le due modalità di memoria sono molto diverse:

Ora la differenza non è soltanto quantitativa: la memoria corta è del tipo rizoma, diagramma, mentre la lunga è arborescente e centralizzata (impronta, engramma, calco o foto). La memoria corta non è per nulla sottomessa a una legge di continuità o di immediatezza con il suo oggetto, essa può essere a distanza, venire o rivenire molto tempo dopo, ma sempre in condizioni di discontinuità, di rottura e di molteplicità. Ancor più, le due memorie non si distinguono come due modi temporali di percezione della stessa cosa; non è la stessa cosa, non è lo stesso ricordo, non è neppure la stessa idea che colgono entrambe.32

La memoria corta rappresenta, paradossalmente, l’oblio, la dimenticanza, rispetto alla memoria lunga. Essa non ricorda ciò che ricorda la memoria lunga e non si confonde con l’istante presente, ma con il rizoma collettivo, temporale e nervoso.33



Liscio e striato, curvatura del tempo

Ciò che si “salva”, nella memoria, sembra dunque salvarsi grazie all’oblio, attraverso l’oblio. Il momento migliore della memoria è la sua curvatura, la sua conversione, la sua vocazione “liscia”, l’emissione delle sue grida.34 Tale lisciatura dello striato appare agli occhi della normalità come una cancellazione, una demolizione dei ricordi, un passo indietro, apparentemente, della memoria rispetto alla potenza dell’oblio. La memoria vi guadagna invece il suo modo di essere più proprio, la sua virtualità potenziata. Mostra di possedere il potere di svincolarsi dalla ricostruzione del passato e dal mero riconoscimento nel presente del ricordo. Tale forzatura è il suo potere di oblio, di cancellazione rispetto alla memoria-ricordo. L’orientamento inverso del Tempo, d’altra parte, in direzione del futuro e non del passato, è sempre immanente alla sua attività. Il presente, non più una dimensione del tempo tra due altre dimensioni del tempo, è vòlto in direzione del futuro come attesa e costruzione e si immerge nel passato. La memoria, come ricordo puro, sempre virtuale, non si disloca nel presente ma vale, per così dire, per l’insieme del tempo. È la memoria-mondo, liberata dalla prigionia della psicologia individuale, in forza 1) della stessa de-soggettivazione relativa del “punto di vista”, che la dottrina della “piega” ha messo a punto e 2) dell’incrinatura che la memoria corta, liscia, produce nell’edificio apparentemente inattaccabile della memoria lunga, striata.

L’Immagine-tempo di Bergson, che la cinematografia contemporanea ha attuato nell’arte, si presenta così completamente emancipata dal mito della Verità e dal Movimento preordinato e auto-celebrativo in cui si costruisce la catena concettuale delle metafisiche, la processione delle loro ipostatizzazioni. Nell’immagine-tempo il Tempo diventa la declinazione molteplice degli eventi, la curvatura-contrazione, il movimento delle individuazioni all’interno del Piano di Immanenza o dell’Uno-Tutto.



Oblio e memoria

Ricorda il tempo, quando la notte saliva al monte con noi,
ricorda il tempo,
ricorda che io ero ciò che sono:
un maestro delle torri e prigioni,
un alito nei tassi, un bevitore in mare,
una parola su cui bruciando ti accasci

Paul Celan, Acqua e fuoco

La vera memoria non è percezione, né abitudine o memoria del corpo, ma memoria “pura”, che conserva l’indistinzione e la coesistenza di tutti i movimenti del tempo. Come Memoria-mondo sembra che la memoria, nelle sue direzioni imprevedibili, sia debitrice dell’orgiaco (che ricorda l’aorgicohölderliniano35) o del Chaos, sino al punto di sorvolo in cui cessa di essere prossima ad una individuazione, ad una “ecceità”, per rivendicare la totalità del Tempo. In sintesi: la Memoria o il Tempo senza dimensioni e senza misura del movimento è ciò che si attua attraverso la forzatura, la manipolazione, la resezione di frammenti seriali, che imprigionano gli eventi in un ordine dicibile, narrabile, in funzione delle istanze dell’azione presente. Essa opera inevitabilmente l’azzeramento, la “lisciatura” di quello spazio mentale striato nel quale il tempo e la memoria-mondo si traducevano in rappresentazione, secondo le pretese del soggetto di coscienza. La stessa forzatura dell’immagine-ricordo, immessa nella sfera molare e striata, viene “piegata”, riconducendola al piano liscio, al molecolare, e ricondotta alla memoria creatrice. Nella Durata, come pensiero dell’Essere, l’intero passato è mobilitato e l’intero Tempo è convocato, per coincidere, allora, con l’Eterno: gli eventi si riuniscono (svaniscono) nella Durata.36 Quando una memoria “gigantesca”, “totale”, prende il posto della memoria “psicologica” e coincide, come durata pura, non temporale, con il Tutto virtuale e aperto del tempo, il Tempo stesso diventa la verità, così che ogni presente (e ogni ricordo del passato ricondotto al presente) viene azzerato, cade nell’oblio. Nulla si perde. Ogni passato (un passato reversibile e illimitato perché virtuale, che vibra nell’attesa di futuro37) si “conserva”, virtualmente, nella Memoria totale. Il Tempo-Soggetto inaugura, nel dispositivo di potenza che virtualizza il passato totale, l’irruzione del futuro. Tutti gli oggetti, i movimenti, i piani che tagliano il caos perdono allora i loro contorni nella durata pura e si riuniscono nella concentrazione massima della memoria.

Il Tempo non ha cronometri che lo registrino, né bilance che possano pesarlo né metri e scale matematiche di misurazione. Ci invita a salire sulla sua altalena e ad oscillare tra prossimità e distanza, congiunzione e separazione, memoria ed oblio. Cullati dal suo movimento, assumiamo il ritmo dei nostri piegamenti, cerchiamo di fonderci con il suo slancio. Non possiamo scendere dall’altalena, ma possiamo partecipare alle intensità del suo dondolio. Il nostro corpo diventa allora la punta dello slancio della materia che avanza nel tempo, nel suo movimento puro. Questo slancio genera serie divergenti. Ci è data allora una chance: incidere nella nostra carne-corpo il marchio del rifiuto della “biografia”, che in ultima istanza è un cerimoniale di morte, un legame tra inumazione, memoria, compimento di una vita singola e rappresentazione artistica (M. Bachtin). Possiamo cioè attivare le strategia del nascondimento, dell’occultamento, per mezzo della cancellazione della memoria, l’interruzione delle sue cerimonie. Infine, col dispositivo della simulazione teatrale barocca – penso soprattutto a El eroe di Baltasar Gracian e al rapporto tra segreto, eccesso e sovranità della volontà – ci è data un’altra chance: avviare il complotto dei nostri desideri, dei nostri processi emergenti e svilupparne la virtualità in potenza. La dimenticanza, frutto amaro della seduzione dell’oblio, immanente alla stessa concentrazione-tensione della memoria, è sempre un rifiuto o prepara un rifiuto, un giudizio in cui si condanna la celebrazione del passato al suo lutto lamentoso. La volontà di ricordare, di trovare un termine in cui la ricostruzione-scrittura del passato si compia, è sempre legata all’idea della morte e della tragica contraddizione «tra l’infinità della vita e la finitezza della vita umana», manifestazione particolare di quella tra codice genetico e l’essere individuale dell’organismo (J. Lotman).38 In essa si celebra il trionfo nefasto di quella tristitia, ragione del passaggio ad una minore perfezione della mente, che genera la melanconia.39 L’oblio è sempre, come sconnessione tra i livelli di memoria e tentativo fallito di aggancio tra i suoi piani molteplici, interruzione dei ricordi, l’azzeramento che consente l’apertura al nuovo, l’interruzione della “storia” individuale,40 il punto in cui la vita riprende sempre il suo slancio, si rianima, attiva e attua le sue virtualità, le modula secondo altre linee di sviluppo e altri flussi. Prende commiato da quel passato, che, con la sua massiccia presenza sullo sfondo, sembra imprigionare le nostre energie. È un abbandono. Ma l’abbandono che significa un lasciare, un consegnare a sé ciò che impetrava un segno, una rappresentazione accettabile.41 La memoria e l’oblio, insieme, costruiscono e decostruiscono trame, organizzano complotti, cui si dà il nome di “io”. Declinano un processo il cui soggetto spesso non è assegnabile o si riduce ad una fluttuazione. La letteratura ne è testimone: si presenta come un teatro interno, una rappresentazione che seleziona personaggi e azioni, taglia flussi e mobilizza istanti vissuti espandendoli, ripetendoli, contaminandoli con serie eterogenee di “ricordi-stati dell’essere”, attraverso l’ablazione, la consegna all’oblio. Essa cattura, attua un concatenamento, che lega degli eterogenei e forma quel teorema di deterritorializzazione in cui ciascuno dei termini o degli individui biologici, sociali, noetici si riterritorializza sull’altro, senza imitazione e senza somiglianza, entrando in rapporti variabili che ne operano la trasformazione. Questa selezione42 della memoria sulla linea dell’oblio43 è una costruzione, in termini di individuazione, del tempo che si dice ritrovato dalla coscienza. Essa giustifica la molteplicità di memorie possibili e la stessa divaricazione tra memoria lunga e corta. La memoria in realtà dispiega le sue linee divergenti, proprio a partire da ciò che cancella. L’omesso, il rimosso, l’innominato, il non-detto costituiscono il punto di forza, di massima concentrazione e di discriminazione tra ricordo-oblio. Paradossalmente il pieno di conoscenza del passato, la sua virtualità, è anche, sempre, il suo vuoto, la sua attualità. Soltanto allo stato virtuale i ricordi, che esistono in sé, si “conservano” sul piano ontologico, ma non sempre si attualizzano su quello psicologico. La coesistenza bergsoniana delle dimensioni del tempo (o dei tempi) esige anche la coesistenza e l’interazione di memoria e oblio. La potenza di oblio-memoria trascrive nella “scrittura” gli eventi sacrificandone migliaia in nome di un singolo, di una singolarità, di una ecceità. Senza riferirci al sogno, in cui è evidente la condensazione di segni, azioni e personaggi sulla base della cancellazione di molte identità e contrassegni originari, troviamo numerosi esempi di questo processo in letteratura.44

La memoria molecolare, minoritaria ed estremamente concentrata dello scrittore non si occupa più di storie individuali e di ricordi, ma di blocchi deterritorializzati:

Il divenire è un’anti-memoria. Probabilmente c’è una memoria molecolare, ma come fattore di integrazione a un sistema molare o maggioritario. Il ricordo ha sempre una funzione di riterritorializzazione. Un vettore di deterritorializzazione, invece, non è per nulla indeterminato, ma in presa diretta sui livelli molecolari e tanto più in presa quanto più è deterritorializzato: è la deterritorializzazione a far “tenere” insieme le componenti molecolari.45

La memoria “pura”, erroneamente riferita ad un soggetto psicologico, normale o patologico, esiste soltanto, in sede ontologica, come essere in sé del Tempo. La memoria liscia, proprio perché “impura”, non subisce ascesi, non disciplina i suoi slanci, non moltiplica rinunce. Non si consegna alle passioni tristi, ma contrae le eccitazioni del desiderio contemplandole, nel ruolo insieme di Narciso e di Atteone.46 Non si riduce all’immediatezza della bruta natura, dello strato inorganico, ma si mischia ai corpi e agli affetti, ai luoghi e ai percetti, agli ambienti e alle fisionomie in cui si individuano i flussi, li avvolge, li incorpora e si traduce in essi. Il linguaggio, da parte sua, tradisce il reale-visibile e presenta i suoi enunciati come codificazioni, in realtà prodotte da una selezione che scaturisce soltanto in rapporto ad una potenza di oblio. La stessa scrittura, secondo Blanchot, è oblio e morte. L’individuo umano non è affatto «l’arca intima e pura di tutte le cose, il rifugio in cui esse si mettono al riparo», ma colui che le immerge «in un diluvio più profondo, in cui scompaiono in modo prematuro e radicale».47 Pensiamo alla forza di annichilimento, vero trionfo dell’oblio, della poesia di Celan. La scrittura è il silenzio. La sua lingua è la lingua straniera di chi dà la morte. Non cifra il dicibile ma lo cancella. Nessuno e niente è il suo campo. La storia di nessuno e di niente. Il non-luogo di nessuno e di niente:«noi un Nulla / fummo, siamo resteremo, fiorendo: / la rosa del Nulla, / la rosa di Nessuno».48 L’omissione della parola, la dimenticanza – il silenzio dell’esistenza, l’oblio della memoria – segnano degli scarti dell’essere. Con essi si replica il rifiuto di nominare l’essere e gli enti e di sacrificare sull’altare della rappresentazione, del racconto-storia, la velocità “infinita” del Tempo e i flussi asimmetrici della sua memoria.

 

 

Note con rimnado automatico al testo

1Platone, Menone, 811, c-d. Sul ricordo dell’antica Grecia, patria della libertà-uguaglianza, si fonda la poesia-filosofia di Hölderlin, per cui l’allontanamento dall’En kai Pan, in direzione eccentrica, è l’inizio del grande inverno, in cui gli dei sono volati via, senza lasciare traccia di loro, eccetto che nell’entusiasmo e nell’ispirazione poetica, nella Begeisterung dionisiaca. Nell’orientamento verso il passato lo stesso Heidegger conferma il problema della metafisica: l’oblio dell’essere. Cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Bari, 1991, pp. 78-79. La dimenticanza dell’Essere a favore dell’ente è all’origine della “deviazione dell’Occidente”. Questo è un occultamento, perché l’Essere non scompare. Heidegger indica, ispirandosi a Hölderlin, nell’Andenken, la rammemorazione come il compito del pensiero, la retrospezione verso ciò che non è ancora pensato. Cfr. sull’essenza del pensiero poetante M. Heidegger, Rammemorazione, in Id., La poesia di Hölderlin, Adelphi, Milano, 1988, pp. 95-180.

2«Ogni concetto ha un contorno irregolare, definito dalla cifra delle sue componenti. È per questo che, da Platone a Bergson, si ritrova l’idea che il concetto sia una questione di articolazione, di ritaglio e di accostamento. È un tutto, perché totalizza le sue componenti, ma è un tutto frammentario. Soltanto a questa condizione il concetto può uscire dal caos mentale che lo attende al varco e non cessa di minacciarlo per riassorbirlo». G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia, Torino,Einaudi, 1996, p. 23.

3 «Il piano di immanenza è come un taglio del caos e agisce come un setaccio. Il caos, in realtà, non è tanto caratterizzato dall’assenza di determinazioni quanto dalla velocità infinita con cui queste si profilano e svaniscono […]. Il caos non è uno stato inerte o stazionario, non è un miscuglio casuale. Il caos rende caotica e scioglie nell’infinito ogni consistenza». Ivi, p. 51. Cfr. H. Bergson, L’évolution créatrice, ed. digit. in Classiques des sciences sociales, Chicoutimi, Université du Québec, 2003, p. 149 sul taglio (coupe) operato dall’intelligenza sul flusso del reale, sul divenire universale: «Les choses se constituent par la coupe instantanée que l’entendement pratique, à un moment donné, dans un flux de ce genre, et ce qui est mystérieux quand on compare entre elles les coupes devient clair quand on se reporte au flux». La stessa intelligenza, d’altra parte, è «ritagliata» da una realtà più vasta e creatrice, la vita come slancio, H. Bergson, L’evoluzione creatrice, Milano, Raffaello Cortina, p. 48. Sull’immagine del corpo come «taglio trasversale del divenire universale» si veda H. Bergson, Materia e memoria, in Opere 1889-1896, Milano, Mondadori, 1986, p. 259.

4 Cfr. H. Bergson, Materia e memoria, cit., p. 275.

5 Cfr. infra, le note n. 42 e 43.

6Questa esplorazione e il pathos gioioso dell’ascesi filosofica aderiscono alla condotta di vita in cui ci si istalla nel piano di immanenza e lo si costruisce, cfr. G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Milano, Guerini e associati, 1991, cap. 6: “Spinoza e noi”.

7G. Deleuze. F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, ed. digitale, Roma, Cooper, 2003, p. 273.

8 G. Deleuze, Il bergsonismo e altri saggi, Torino, Einaudi, 2001, pp. 42-43. Ma sulla contrazione-concentrazione di energie e di emozioni-eccitazioni operata dalla memoria, che mostra così di appartenere appieno alla dinamica del desiderio e del piacere cfr. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina, 1997, pp. 100, 106. Sull’apertura al futuro della sintesi ordinale “scardinata” del tempo, connessa alla ripetizione, vedi le pp. 119, 120-121.

9 G. Deleuze, La Piega. Leibniz e il Barocco, Torino, Einaudi, 2004, pp. 73 sgg., si veda in particolare pp. 83 sgg. sul nuovo statuto del soggetto.

10 «Il movimento infinito è definito da un’andata e ritorno, perché esso non va verso una destinazione senza fare già ritorno su se stesso, essendo l’ago anche il polo. […]. Il movimento infinito è doppio, tra l’uno e l’altro non c’è che una piega [...]. I diversi movimenti dell’infinito sono talmente mischiati gli uni con gli altri che, lungi dal rompere l’Uno-Tutto del piano di immanenza, ne costituiscono la curvatura variabile, le concavità e le convessità e, in qualche modo, la natura frattale». G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia, cit., p. 47 (il corsivo è nostro, cito dall’ed. dig.).

11A. Badiou, Deleuze, il ‘clamore dell’essere’, Torino, Einaudi, 2004, p. 218 (cito dall’ed. dig.).

12 Ivi, p. 219.

13La linea anticartesiana di Deleuze non scende a patti né con l’idealismo né con la fenomenologia: la piega non si può scambiare per l’Io dell’idealismo o della fenomenologia e rompe altresì con la tradizione neoplatonica e agostiniana-creazionista di un’origine unitaria (e trascendente) del tempo.

14 Sulla tesi ontologica dell’Univocità dell’essere in rapporto alla ripetizione dell’Eterno ritorno si veda G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina, 1997, pp. 53-61.

15 Si veda H. Bergson, Materia e memoria, cit., pp. 258-259 per la distinzione tra due memorie, la memoria-abitudine, “fissata nell’organismo” e condizionata dall’adattamento alla situazione presente e la vera memoria “coestensiva alla coscienza” che evoca l’esperienza passata, svincolandosi dal presente e dai suoi meccanismi. Cfr. sul rapporto soggetto-oggetto, memoria-percezione, e quindi spirito-materia, il ruolo centrale della concentrazione-contrazione della memoria che collega le visioni istantanee, spaziali, del reale, ivi, pp. 192-193.

16G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani,cit., pp. 583-584: «Dell’organismo bisogna conservare quanto basta perché si riformi a ogni alba; […] bisogna conservare piccole razioni di soggettività, in quantità sufficiente per poter rispondere alla realtà dominante. […] Siamo in una formazione sociale; vedere innanzitutto come è stratificata per noi, in noi, nel posto in cui ci troviamo; risalire dagli strati al concatenamento più profondo in cui siamo presi; far capovolgere il concatenamento con molta precauzione, farlo passare dalla parte del piano di consistenza».

17 G. Deleuze, Il bergsonismo e altri saggi, cit., p. 45; cfr. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 119. L’abitudine a ricondurre ogni manifestazione della memoria al presente, alla presenza e al riconoscimento del ricordo ci confina nel regno della psicologia, dell’io o dell’Es, e della sua temporalità, Chronos, ma nulla ha a che fare con la concezione bergsoniana e deleuziana della durata.

18 G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia, cit., p. 37.

19 Ivi, p. 44.

20 «I flussi d’intensità, i loro fluidi, le loro fibre, i loro continua e le loro congiunzioni d’affetti, il vento, una segmentazione fine, le micropercezioni hanno sostituito il mondo del soggetto. I divenire, divenir-animali, divenire-molecolari, prendono il posto della storia, sia essa individuale o generale». G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 587.

21 G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 106.

22 H. Bergson, Materia e memoria, cit., pp. 259-260.

23 Il mutuo appoggio, la solidarietà tra memoria-abitudine del corpo e dei suoi meccanismi senso-motori e vera memoria del passato (dei ricordi in sé) non è garantita per Bergson che dalla normalità, cioè dall’equilibro degli individui ben adattati alla vita, cfr. ivi, p. 260. La sfera del patologico e della sperimentazione-costruzione di vita dell’arte (o della filosofia in senso deleuziano) ne sono dunque escluse. Se la parte immediata del passato che, proteso sul futuro lavora per realizzarlo e annetterselo, può essere schiarita dal bagliore della coscienza, il resto, afferma Bergson, «rimane nell’oscurità», ivi, p. 258.

24G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 588. Con riferimento al libro di Carlos Castaneda sugli insegnamenti esoterici di Don Juan, Deleuze e Guattari scrivevano: «Non è più un Io che sente, agisce e si ricorda, è “una bruma brillante, una nebbia gialla e scura” che ha affetti e prova movimenti, velocità. Ma l’importante è che non si disfa il Tonal distruggendolo di colpo. Occorre diminuirlo, restringerlo, pulirlo e per giunta soltanto in certi momenti. Occorre conservarlo per sopravvivere, per poter sventare l’assalto del Nagual» (corsivo nostro).

25 H. Bergson, Introduzione alla Metafisica, Laterza, Bari, 1983, p. 48.

26Ibidem.

27 Il presente, nella sua posizione intratemporale, non è altro che «la concentrazione massima di tutto il passato» con cui coesiste e che coesiste in sé (G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 111) e appartiene al tempo cronologico.

28 G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia, cit., p. 21.

29G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 553 (corsivo nostro).

30Ivi, p. 579.

31 Ivi, p. 1306.

32 Ivi, p. 103. Sulla memoria in rapporto al tempo soggettivo e al tempo vissuto in patologia si veda E. Borgna, Noi siamo un colloquio, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 62 e passim, testo ricco di suggestioni filosofiche e letterarie, che conferma, con l’esperienza clinica, la tesi delle molteplicità di memoria.

33«La memoria lunga (famiglia, razza, società o civiltà) ricalca e traduce, ma ciò che traduce continua ad agire in essa, a distanza, in contro tempo, “intempestivamente”, non istantaneamente». G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 103.

34 Sono le stesse grida lanciate da Spinoza: «voi non sapete ciò di cui siete capaci, nel bene e nel male, non sapete in anticipo ciò che può un corpo o un’anima, in un dato incontro, in una data concatenazione, in una certa combinazione». G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., p. 270.

35Cfr. sul rapporto tra Tempo, Ripetizione, Eterno ritorno G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., pp. 120-121. Il tempo come forma pura e “vuota” diventa il protagonista dell’eterno ritorno come «circolo decentrato della differenza» in cui la forma del tempo sta per la rivelazione dell’informale (nell’accezione hölderliniana) nell’eterno ritorno (ivi, pp. 122-123). Si veda F. Hölderlin, La morte di Empedocle, Milano, Garzanti, 1998 e M. Piermarini, Diotima, Introduzione all’Iperione di F. Hölderlin, Massarosa, Del Bucchia, 1998, cap. I.

36Aìon, il tempo indefinito dell’“evento”, è il tempo paradossale, la linea instabile che conosce solo le velocità. Esso fonda Chronos, il tempo cronologico, secondo la distinzione stoica ripresa da Deleuze, cfr. F. Zourabichvili, Le vocabulaire de Deleuze, Paris, Ellipses Édition, 2003, alla voce “Aiôn” e G. Deleuze, Logica del senso, Milano, Feltrinelli, 2009, pp. 134-135 sulla coppia Kronos-Aion. Cfr. anche G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 898.

37 Lo stesso circolo dell’Eterno ritorno «non fa ritornare che l’a-venire» (ivi, p. 122) e nella terza e ultima sintesi del tempo «il presente e il passato non sono più a loro volta che dimensioni dell’avvenire: il passato come condizione, il presente come agente», ivi, p. 123.

38 Cfr. J.M. Lotman, La cultura e l’esplosione. Prevedibilità e imprevedibilità, Milano, Feltrinelli, 1993, pp. 199-200.

39 B. Spinoza, Etica, III, prop. 11, Roma, Editori Riuniti, 1988, p. 181.

40 Alain Badiou, in dissenso con Bergson e Deleuze circa il primato della Memoria scrive: «Ma se il “c’è” (“il y a”) è pura molteplicità, se tutto è attuale, se l’Uno non è, non è più dal lato della memoria che bisogna cercare la verità. La verità è al contrario carica di oblio, è addirittura, al contrario di quanto pensa Heidegger, l’oblio dell’oblio, l’interruzione radicale, catturata nella sequenza dei suoi effetti. E questo oblio non è oblio di questo o quello, ma l’oblio del tempo stesso, il momento in cui viviamo come se il tempo (questo tempo) non fosse mai esistito. O se vogliamo, in linea con la profonda massima di Aristotele, dato che l’essere comune a ogni tempo è la morte, come se fossimo immortali»” (A. Badiou, Deleuze, il ‘clamore dell’essere’, cit., p. 159). Il tempo vuoto o istantaneo (Aion) dell’evento deleuziano sembra rispondere a tale esigenza di radicale novità senza sdoppiare il reale in eternità (trascendente) e temporalità.

41«Ogni movimento percorre tutto il piano facendo immediatamente ritorno su se stesso, piegandosi ma anche piegandone altri o lasciandosi piegare, generando delle retroazioni, delle connessioni, delle proliferazioni, nella frattalizzazione di questa infinità infinitamente ripiegata (curvatura variabile del piano)». G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia, cit., p. 48.

42 Evidente il riscontro con il carattere selettivo che assume la dottrina nietzscheana dell’Eterno ritorno dell’identico, la cui forza centrifuga espelle, nella ripetizione, il nichilismo e ogni negatività e passione triste (cfr. G. Deleuze, Nietzsche, Milano, SE, 1997, pp. 36-37) per elevare il molteplice e il divenire alla più alta potenza, che genera la gioia del diverso come «il solo impulso a filosofare» (ivi, pp. 33-34). Ma cfr. Henri Bergson, che considera i ricordi celati nelle profondità oscure dei “fantasmi” che, nel sonno, nella notte dell’inconscio, eseguono una danza macabra e vogliono accedere alla “porta” che sta per schiudersi della coscienza, «Ma non possono. Sono troppi». H. Bergson, Il sogno, in Id., L’energia spirituale, Milano, Raffaello Cortina, 2008, pp. 195-197, ed. dig.

43Il dimenticare non è il segno di una privazione, ma una risorsa del ricordare, ossia selezionare. Ma la selezione diviene, dal punto di vista del divenire, possibile soltanto come Ripetizione, nel rapporto tra volontà di potenza ed eterno ritorno. Cfr. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Torino, Einaudi, 2002, pp. 101-107.

44I personaggi, i luoghi e i nomi, evocati nella Recherche da Marcel Proust, costituiscono una macchina di oblio, un’esplosione di silenzio e di non-detto in cui il loro potere rappresentativo si riproduce. Lo stesso avviene in Virginia Woolf per i ricordi d’infanzia. Nella sua scrittura «si oppone un blocco d’infanzia, o un divenire-bambino, al ricordo d’infanzia:“un” bambino molecolare è prodotto […] “un” bambino coesiste con noi in una zona di vicinanza o in un blocco di divenire, su una linea di deterritorializzazione che ci trasporta entrambi – contrariamente al bambino che siamo stati, di cui ci ricordiamo o fantasmiamo, il bambino molare di cui l’adulto è l’avvenire» G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., p. 997.

45 Ivi, p. 997.

46 G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 101.

47 M. Blanchot, Lo spazio letterario, Torino, Einaudi, 1975, p. 119.

48 P. Celan, Salmo, in Poesie, Milano, Mondadori, 1999, p. 379.