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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Sacrificio

 

Estratto da Sacrificio. 
Tracce per una genealogia

 

 

I chierichetti del regime idealistico: autobiografia di una nazione?

 

La macchina rituale così avviata contempla la presa in carico della disponibilità sacrificale in vista del contenimento del contagio e del risarcimento delle perdite conseguenti in ordine all’economia e alla democrazia. Tra i pilastri portanti del mito fondatore della civiltà occidentale si annovera il ‘sacrificio’, innanzitutto come “mito fondante del cristianesimo considerato come religione”1 e poi nel significato che il vocabolo ha assunto nel linguaggio comune equivalente della fatica, della rinuncia, della sofferenza “di chi si carica di un peso, a volte sino a perdere la vita, pur di favorire altri e pur di compiere un atto di bene”2. Nel saeculum dis-tratto dalla radice religiosa i meccanismi sacrificali, con relativa terminologia (“sacrificio della vita dei combattenti in guerra, sacrificio richiesto ai cittadini con tasse aggiuntive nelle varie manovre economiche in tempo di crisi, sacrificio implicato nelle diete per dimagrire ecc.”3), governano molti aspetti della vita, dall’economia, alla politica, alla società, ove in linea generale la prassi della concorrenza è elevata a principio “sacro” per cui il più forte è tenuto a sacrificare il più debole4, secondo norme comportamentali che sono assimilabili a principi virtuosi per così dire “cardinali”, in sostituzione delle classiche quattro virtù poste a fondamento dell’ethos umano. Si constata in tal modo, ad esempio, che la virtù deliberativa per antonomasia, a partire dall’Etica Nicomachea di Aristotele (φρόνησις), è derubricata a semplice cautela o moderazione, la “sciocca virtù” cosiddetta dall’ineffabile Voltaire, quasi livrea della condizione senile5.

In quanto “nativi religiosi”, cresciuti, in altri termini, immersi nella mentalità del sacrificio6, categoria che plasma mentalità e forma di vita occidentali, anche all’insaputa, come tarlo che rovista segretamente e tacitamente nella materia ideologica, questo “equivoco civilizzatore”7, fondamento “di tutto il versante clericale, dualistico, autoritario e devozionistico della tradizione ecclesiale”8, ha costituito e costituisce il fertile sedime di cui si alimentano le attitudini comportamentali correnti. Sia nella tradizione religiosa, sia nell’educazione morale, spesso si è abusato dell’idea di sacrificio sino a identificare ciò che ha valore con la sofferenza e la fatica per le quali si merita un premio, una ricompensa.

Nel sacrificio troviamo il modo di impegnare in un credito fiduciario persino Dio stesso – 
che non gli capiti di pensare di potersi assolvere dal patto che abbiamo stretto, tra pegno e impegno!
Con tutti i sacrifici che abbiamo fatto!9

In tal senso si può intendere la valenza ideologica del sacrificio, quando di esso si impadronisce e si serve come instrumentum regni tanto il potere economico quanto quello politico, che occultano nel “sacro” (termine quanto mai ambiguo) scelte che, appunto, sorreggono e conservano il potere stesso. La cultura del sacrificio si esprime, come si è espressa, in pratiche sociali dove figli, donne, sudditi, servi, poveri devono sacrificarsi per altri uomini che stanno oltre e sopra i sacrificanti, giustificando così sul piano spirituale rapporti del tutto asimmetrici e dando nome di sacrificio a ciò che nella realtà è/era sfruttamento.

Su tali fondamenti si sono innalzate costruzioni culturali di gran vaglia che ne perpetuano inalterate le funzioni. Ed è il caso del saggio che Benedetto Croce pubblicò nel 1942, Perché non possiamo non dirci «cristiani», con l’intento, forse, di rispondere al Why I am not a Christian di Bertrand Russell del ’27, e recentemente replicato come infimo epigono da Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), del 2007. Con l’intento di elogiare il contributo dato all’intera umanità dal cristianesimo, di esaltare la “inevitabile cristianità” dimorante nell’uomo occidentale, il filosofo non coglieva affatto il paradosso della parola evangelica che ha “funzionato come una specie di macchina civilizzatrice e generatrice di significati collettivamente presi per validi”10, proprio in quanto essa veniva perversamente deformata e alterata arbitrariamente, generando da tale misconoscimento “le pietre angolari sulle quali si sono edificate la religione, la cultura e la forma di società dell’Europa e dell’Occidente”11. Lo stesso Croce non mosse un dito, allorché ad Ernesto Buonaiuti, “nominatim excommunicatus et expresse vitandus”12, fu vietato l’insegnamento nel 1945, dopo essere stato a suo tempo destituito nel 1932, non avendo prestato giuramento al fascismo in osservanza del regio decreto n. 1227 del 28 agosto 1931. Anzi, in compagnia di De Gasperi e di Togliatti, ebbe financo a dichiarare: “Abbiamo penato tanto per metterci d’accordo con i democristiani che non potevamo fare una guerra di religione per Buonaiuti”13. Buonaiuti aveva infatti ben presente che “Il cristianesimo ufficiale è un paganesimo mascherato, occorrerà una nuova rivelazione perché si aprano gli occhi alla luce”14. Fu l’unico docente italiano non reintegrato in qualità di professore ordinario all’indomani della caduta del fascismo, in forza di una discussa applicazione retroattiva (sostanzialmente ad personam) dei Patti Lateranensi, che impediva a un sacerdote scomunicato di occupare una cattedra in una università statale: cattolici, liberali e comunisti si riunirono nella comune ostilità contro il Modernismo, considerato come una corrente cristiana difficilmente inquadrabile nella polarizzazione tra laici e cattolici (o cosiddetti laici e cosiddetti cattolici) sotto il cui segno nasceva il nuovo Stato italiano. Commentò allora Arturo Carlo Jemolo:

Che il fascismo schiacciasse un ribelle come Buonaiuti, senza preoccupazioni di legalità, non è 
a stupire. Ma fu veramente grave che i ministri della Pubblica Istruzione della Liberazione – Guido De 
Ruggero, Vincenzo Arangio-Ruiz, Enrico Molé, che ricordo poi ai funerali del Buonaiuti – non si 
curassero di ridare la cattedra a Buonaiuti. Sarebbero stati in una botte di ferro sul terreno giuridico.15


Già al tempo dell’emanazione dell’enciclica
Pascendi Dominici Gregis, l’8 settembre 1907, con la quale Pio X bollava il modernismo quale “sintesi di tutte le eresie”16, era toccato proprio a Croce di bollare a sua volta i modernisti con l’epiteto di “ritardatari”, così “alleandosi con i gesuiti”17. Inevitabile arrendersi alla constatazione che in qualità di storico Croce, e altri storici di professione tanto cattolici quanto laici, non abbiano saputo apprezzare la novità che Buonaiuti apportava alla storiografia sul Cristianesimo, “considerato come fenomeno storico al centro della civiltà umana”18. Pur criticando il profilo dogmatico del cattolicesimo in quanto “la più diretta e logica negazione dell’ideale liberale”19, e d’altra parte avendo difeso la Controriforma nel suo ufficio storico di “difesa di una istituzione”20, che cosa sarebbe potuto importare a Croce, invero, dei capisaldi del modernismo: introduzione del metodo storico-critico nello studio delle scritture e dei dogmi, distinzione tra Cristo della storia e Cristo della fede, carattere relativo delle espressioni di verità, ecumenismo, collegialità episcopale, partecipazione attiva dei fedeli nella chiesa, sacerdozio universale dei fedeli, ruolo del laicato, superamento della concezione clericale della chiesa, autonomia della politica, povertà della chiesa, destino escatologico della chiesa, confronto con le altre confessioni cristiane?

“Le Simples réflexions del Loisy, devo pur dirlo, filosoficamente fanno una meschina figura accanto alla filosofia che parla nell’enciclica”. Così Giovanni Gentile, nei confronti di uno dei maggiori modernisti, da lui definiti “paperi razionalisti”21. Querimonie idealiste analoghe a quelle esternate da Croce:

Il modernismo pretende di distinguere il contenuto reale del dogma dalle sue espressioni metafisiche 
che egli considera come cosa del tutto accidentale, allo stesso modo che sono accidentali le varie
espressioni del linguaggio in cui può venire tradotto un medesimo pensiero. E questo paragone è il
primo e sommo sofisma dei modernisti. Infatti è verissimo che un medesimo concetto può essere
tradotto nelle più varie forme di linguaggio, ma il pensiero metafisico non è un linguaggio, non è 
forma di espressione: è logica ed è concetto. Onde un domma tradotto in altra forma metafisica
non è lo stesso dogma, come un concetto trasformato in un altro concetto non è più quello.
Liberissimi i modernisti di trasformare i dogmi secondo le loro idee. Anch’io uso di questa libertà.
Soltanto io ho coscienza facendo questo di essere fuori della Chiesa, anzi fuori di ogni religione,
laddove i modernisti si ostinano a professarsi non solo religiosi, ma cattolici.

Che se poi per salvarsi dalla necessaria conseguenza dell’assunto principio i modernisti, 
simpatizzando con i positivisti, con i pragmatisti e con gli empiristi di ogni risma, addurranno che
essi non credono al valore del pensiero e della logica, cadranno di necessità nell’agnosticismo e
nello scetticismo. Dottrine queste, che sono conciliabili con un vago sentimento religioso, ma che
ripugnano affatto ad ogni religione positiva. Tollerino i miei amici Modernisti che noi di ciò ci
rallegriamo; non ci capiterà facilmente un’altra volta questa fortuna di essere d’accordo con il Papa22.

Soccorreva in merito anche il socialista Claudio Treves: “Noi questa Enciclica dovremo metterla in cornice”23, all’opposto di Piero Martinetti, che in nome del suo essere “filosofo, cittadino di un mondo nel quale non ci sono né persecuzioni né scomuniche”24, non rinunciò ad aprire il VI Congresso nazionale di filosofia a Milano, nel marzo del 1926, sciolto poi d’autorità dal prefetto di Milano25.

Occorre a questo punto congedare il loico in compagnia dei gesuiti, “tra le sottane della Chiesa”26, come scrisse Pierre Hadot, con le parole di Antonio Gramsci:

Obiettivamente il Croce fu un alleato prezioso dei gesuiti contro il modernismo … I modernisti … 
erano dei riformatori religiosi, apparsi non secondo schemi intellettuali prestabiliti, cari allo hegelismo,
ma secondo le condizioni reali e storiche della vita religiosa italiana … L’atteggiamento del Croce e
del Gentile (col chierichetto Prezzolini) isolò i modernisti nel mondo della cultura e rese più facile
il loro schiacciamento da parte dei gesuiti, anzi parve una vittoria del papato contro tutta la filosofia
moderna: l’enciclica antimodernista è in realtà contro l’immanenza e la scienza moderna.27

L’approccio scientifico alla religione non era nelle corde della cultura idealistica e laica in senso lato, per la quale “i dibattiti ecclesiologici e teologici non riguardano la società moderna”28, essendo la religione intesa dalla filosofia, ormai da tre secoli, come mero contenuto mitico. Il contributo alla conservazione di un punto di vista religioso antiquato e acritico è inequivocabile, come acutamente, e causticamente, traspare dal giudizio di Buonaiuti su Pio X:

Tutta la grettezza d’animo degli infimi strati sociali; tutto il sussiego fatuo, larvato da una posa di 
modestia e rassegnazione, di chi è giunto dal nulla ai più alti fastigi dell’autorità; tutta la ignoranza
della più vecchia generazione clericale, cresciuta e alimentata fra gli anatemi al movimento della modernità;
tutto l’astio degli incolti contro gli uomini della scienza; tutto il disprezzo orgoglioso di chi non sa,
per lo sviluppo e la ricchezza dell’intelligenza; dominano nell’animo di questo buon parroco di campagna,
strappato da un singolare colpo di fortuna alle occupazioni piccine e alle conversazioni, innaffiate di
buon vino e di facili barzellette, della solitaria canonica, e portato a reggere il governo della più
grande organizzazione religiosa che stenda le sue propaggini nel mondo.29


Il proposito di “spingere sempre più le indagini critico-religiose verso uno sbocco rinnovatore”30 venne così contrastato in ogni modo con la complicità degli apparati ideologici dominanti a seconda del frangente storico: oscillando il giudizio sui modernisti tra gli eresiarchi e i ritardatari, finì per prevalere il conformismo che inaridì ogni rigagnolo novatore, giusto il giudizio di Morghen:
 

Ai conformisti di tutti i tempi e di tutte le religioni la vicenda del Buonaiuti dovrebbe insegnare
che all’ideale si deve restar fedeli a prezzo di ogni sacrificio e gettando magari la propria anima
allo sbaraglio.31

La “solidarietà gesuitico-socialista-hegeliana”32 avrà ancora lunga e prospera vita, generando essa epigonismi fino ai giorni nostri, così alimentando quella percezione religiosa “che viene vissuta in una semincoscienza, in cui siamo guidati dagli automatismi e dalle abitudini”33.

 

 

Note

1 R. Mancini, Il senso della misericordia, Romena, Pratovecchio (AR) 2016, p. 32.

2 Ivi, p. 33.

3 G. Ferretti, Spiritualità cristiana nel mondo moderno. Per un superamento della mentalità sacrificale, Cittadella Editrice, Assisi 2016, pp. 77-78.

4 Ivi, p. 66.

5 R. Bodei, G. Giorello, M. Marzano, S. Veca, Le virtù cardinali. Prudenza, Temperanza, Fortezza, Giustiza, Laterza, Bari-Roma 2017.

6 R. Mancini, Il senso della misericordia, cit., p. 35.

7 Ivi, p. 20.

8 Ivi, p. 29.

9 L. Bagetto, San Paolo. L’interruzione della legge, Feltrinelli, Milano 2018, p. 8.

10 Ivi, p. 18.

11 Ibidem.

12 Osservatore romano (Acta Apost. Sedis, XVIII [1926]), pp. 40-41. Cfr. E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, Laterza, Bari-Roma 1964, p. 247.

13 R. Morghen, Ernesto Buonaiuti storico del cristianesimo, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1978, p. 18.

14 E. Buonaiuti, Prolegomeni alla storia di Gioacchino da Fiore, “Ricerche religiose” 4, 1928.

15 C. Fantappiè, a cura di, Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo Jemolo 1921-1941, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma, 1997, p. 263.

16 Enchiridion delle Encicliche, EDB, Bologna, 4, 228.

17 R. Morghen, Louis Duchesne e Ernesto Buonaiuti storici della chiesa e del cristianesimo, in Mgr Duchesne et son temps, École Française de Rome, Rome 1975, p. 390.

18 Ivi, p. 389.

19 B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Adelphi, Milano 2007, p. 31.

20 B. Croce, Storia dell’età barocca in Italia, Laterza, Roma-Bari 1929, p. 11.

21 G. Gentile in La polemica sul modernismo. L’intervento dei non cattolici, in “La Civiltà cattolica”, anno 59, fasc. 1393, 26 giugno 1908, p. 76.

22 Il Giornale d’Italia, 16 ottobre 1907.

23 Citato in R. Morghen, Ernesto Buonaiuti, in Appendice ad E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, Roma, Alberto Gaffi 2008, p. 633.

24 Citato in G.B. Guerri, Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, Torino, Utet 2001, p. 131.

25 Ibidem.

26 P. Hadot, La filosofia come modo di vivere, Torino, Einaudi 2008, p. 20: “Cercavo il più possibile di rifugiarmi tra le sottane della Chiesa”.

27 A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino, Einaudi 1953, p. 248. Cfr. G.B. Guerri, Eretico e profeta, cit., pp. 66-71.

28 Ivi, p. XI.

29 Lettere di Ernesto Buonaiuti, cit., pp. 91-92 (G.B. Guerri, Eretico e profeta, cit., p. 296, n. 16.

30 E: Buonaiuti, Pellegrino di Roma, cit., p. 260.

31 R. Morghen, Ernesto Buonaiuti, cit., p. 638.

32 E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma, cit., p. 101.

33 P. Hadot, La filosofia come modo di vivere, cit. p. 10.

 

 


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