AZIONI PARALLELE
non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'articolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile
la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".
NUMERO 7 - 2020
Azioni Parallele
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
Sede della rivista Roma.
I NOSTRI
AUTORI
Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
ed. Chirico
[compra presso l'editore Chirico]
Modern/Postmodern
ed. MANIFESTO LIBRI
[compra presso IBS]
Solitudine/Moltitudine
ed. MANIFESTO LIBRI
[compra presso IBS]
Vie Traverse
di A. Meccariello e A. Infranca
ed. ASTERIOS
[compra presso IBS]
L'eone della violenza
di M. Piermarini
ed. ARACNE
La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
ed. ASTERIOS
Estratto da Ferita
L'occhio che guarda verso dentro e verso fuori
Ferita come feritoia
C’è una fessura,una fessura in ogni cosa. È così che entra la luce
Leonard Cohen, Anthem
In merito alla ferita, partirei da una riflessione, come sempre, folgorante di María Zambrano. Eccola:
[Una ferita aperta è ciò che] ogni uomo, in quanto tale, ha in sé fin dalla nascita, anche se di solito cerca di occultarla o di tenerla chiusa ad ogni costo. È la ferita che non concede all’uomo di chiudersi nel suo “essere” già costituito e che lo mantiene aperto alla verità: giacché la verità, prima di lasciarsi conoscere, ferisce. È la verità attraverso la quale respira l’anima, insaziabile, e dove si raccoglie il suo alito. Ogni creazione dell’uomo germoglia da quella ferita1.
Le fa eco Aldo Carotenuto, il quale scrive:
è la ferita che deve lacerare la nudità dell’anima quando essa è ancora chiusa in una verginità inconsapevole ed irriflessiva2.
Letti questi due passi, il pensiero corre subito alla raffigurazione iconografica di san Sebastiano, il quale è ritratto, per lo più, in pose che sembrano tradire un segreto godimento per le ferite procurate dalle frecce che trafiggono la sua carne: ferite che lui mette in mostra come un autentico ornamento. Nel San Sebastiano (1651) dello Spagnoletto, conservato presso il Museo Nazionale di san Martino di Napoli, ad esempio, le ferite non scalfiscono affatto la perfezione del corpo del giovane santo, ma ne trasfigurano la sofferenza, convertendola, addirittura, nel preludio ad uno stato di estasi3. Non diversamente, anche nel San Sebastiano (1478-1479) di Antonello da Messina, conservato presso la Gemäldegalerie di Dresda, assistiamo alla stessa imperturbabilità del giovane santo di fronte al dolore per il supplizio che sta patendo. Qui, le cinque ferite procurategli dalle frecce, fornendo un vero e proprio ornamento alla sua figura, la idealizzano, nel senso che la dotano della consistenza spirituale di un corpo che si avvia ad essere finalmente libero dai vincoli della materia. Imperturbabilità cheritroviamo anche nel San Sebastiano (1495) del Perugino, conservato presso il Museo Louvre di Parigi, dove all’impianto già noto si aggiunge un particolare nuovo: l’iscrizione incisa nella parte bassa dellatavola del dipinto, tratta dal Salmo 37. Essa recita: «sagittae tuae infixae sunt mihi [le tuefrecce mi hannotrafitto]», a conferma del fatto che la passione del giovane santo è da lui vissuta come un’esperienza mistica autenticamente risanante e rigenerante4.
Ma, insieme all’iconografia di san Sebastiano, il pensiero corre anche a un’altra cosa, ossia a uno dei fenomeni più tipici della mistica cattolica: la “transverberazione”. Qui, un fedele, in un momento di estasi, viene trafitto al cuore, da una lancia o da una freccia, ad opera di una creatura angelica o di Dio stesso: trafittura che, quando non è spirituale, ma corporea, prende il nome di “ferita d’amore”. Di questo fenomeno, l’esempio più noto che si ricorda è, senz’altro, quello di santa Teresa d’Avila, quale è stato rappresentato dal Bernini in una sua celebre scultura, realizzata tra il 1647 e il 1652 e conservata nella chiesa di santa Maria della Vittoria a Roma5.
Tornando alla ferita come risorsa che ognuno di noi porta dentro di sé, fin dalla nascita, ecco cosa afferma ancora in merito Carotenuto:
In verità ognuno di noi porta con sé una ferita primordiale difficile da comunicarsi, ma che può tuttavia trasformarsi in feritoia, ossia può diventare la matrice del nostro relazionarci con il mondo. Trasformare la ferita in feritoia significa fare del proprio dolore e della propria mancanza la chiave d’accesso e di soluzione dei nostri dubbi. […] [L]a nostra ferita-feritoia è l’aculeo dell’interesse e della curiosità verso la vita6.
Anche per Carotenuto, come per María Zambrano, la ferita rappresenta, dunque, un’antica lacerazione, la quale, però, è ancora aperta e non si è mai rimarginata, così che finisce per fungere, appunto, da feritoia, ossia da varco attraverso il quale, affacciandoci sul nostro e altrui mondo interiore, possiamo arrivare a sondare la parte più segreta e misteriosa di noi stessi e degli altri.
[L]a famosa “ferita-feritoia” è diversa per ogni ferito, e il paesaggio psichico che si può intravedere e investigare da quell’apertura è diverso non solo per ogni paziente ma anche per ogni terapeuta7.
E siamo così al motivo del “guaritore-ferito”, il cui paradigma mitologico, in psicologia ed etica mediche, è rappresentato dalla figura del centauro Chirone8. Egli, per metà uomo, nella parte superiore, e per metà cavallo, in quella inferiore, si porta con sé una prima ferita – la sua antica e insanabile lacerazione – già dal momento della nascita, in quanto viene rifiutato e abbandonato dalla madre, appena ella si accorge di aver dato alla luce un essere mostruoso e deforme. Adottato da Apollo, viene poi da lui iniziato alla conoscenza di numerose arti, fra cui proprio la medicina, conoscenza che trasmette, in seguito, ad Asclepio, cui essa, come si sa, è consacrata. In quanto medico, viene chiamato, inoltre, a curare Achille, sul quale opera un intervento chirurgico all’osso di un piede. Infine, nel corso di uno scontro fra Eracle e i Centauri, gli viene inferta una seconda ferita, questa volta nella carne viva: una freccia avvelenata lo colpisce al ginocchio, causandogli indicibili sofferenze. Ferita che non poteva guarire e neanche condurlo alla morte, essendo Chirone nato immortale. Per porre fine al dolore, è pronto, addirittura, a rinunciare alla sua immortalità, che sacrifica in cambio della salvezza da concedere a Prometeo, il quale, per aver regalato il fuoco agli uomini, stava patendo il famoso supplizio che lo vedeva incatenato ad una rupe, con un’aquila che gli rodeva il fegato. Una volta morto, viene tramutato nella costellazione astrologica del Sagittario.
Ora, la lezione che ci viene impartita da questo mito riguarda il fatto che solo la pazienza acquisita da Chirone attraverso il dolore gli consente di «prendersi cura degli altri alleviandone le sofferenze con abilità e compassione»9. Il che, tradotto in termini di setting psicoterapeutico o, più in generale, in quelli di una qualsiasi relazione d’aiuto, significa che chi cura un altro può farlo – come afferma Jung – unicamente nella misura in cui è ferito egli stesso: «Solo il medico ferito guarisce»10.
In definitiva, quanto più chi presta aiuto crede di esser sano e che il “guasto” stia solo dalla parte di chi gli sta di fronte, da un lato, quanto più il paziente non attiva dentro di sé il principio della guarigione, dall’altro, tanto più cresce la distanza e si acuisce la scissione fra le due polarità del paradigma del “guaritore-ferito”: scissione, il cui superamento è, invece, indispensabile per conseguire degli effetti positivi in chiave terapeutica.
Note
1 M. Zambrano, José Bergamin scrittore (1963), in Id., Per abitare l’esilio. Scritti italiani, a cura di F. J. Martín, Le Lettere, Firenze 2006, pp. 167-173: pp. 167-168.
2 A. Carotenuto, Eros e Pathos. Margini dell’amore e della sofferenza, Bompiani, Milano 19932, p. XI.
3 Per un’analisi delle numerose immagini di martirio dipinte dal pittore in questione, tutte incentrate sul motivo della catarsi e della trasformazione del soggetto che, volta a volta, viene rappresentato, cfr. M. Williamson, The Martyrdom Paintings of Jusepe de Ribera. Catharsis and Trasformation, Binghamton University, Binghamton-New York 2000.
4 Per una rassegna dell’iconografia di san Sebastiano, nell’arco di tempo che va dal Rinascimento al Barocco, cfr. il catalogo della mostra: San Sebastiano. Bellezza e integrità nell’arte tra Quattrocento e Seicento, a cura di V. Sgarbi e A. D’Amico, Skira, Milano 2014.
5 Questa scultura illustra un’esperienza mistica, in forma di visione, avuta dalla santa e da lei descrittaci puntualmente nella sua autobiografia. Al riguardo, si veda La vita (cap. XXIX, 13), in Teresa d’Avila, Tutte le opere, a cura di M. Bettetini, Bompiani, Milano 2018, pp. 461-463. Qui, in un altro testo, Esclamazioni dell’anima a Dio, pp. 2279-2327, a proposito delle ferite mistiche spirituali, leggiamo: «Come potrebbero esserci rimedi umani per guarire quanto ha ferito il fuoco divino? Chi può sapere dove giunga questa ferita, quale ne fu la causa, e come sia possibile placare un tormento così doloroso e dilettoso?» (p. 2319).
6 A. Carotenuto, Vivere la distanza, Bompiani, Milano 1998, p. 166. A proposito dell’immagine della ferita come feritoia, Carotenuto, in Discorso sulla metapsicologia, Boringhieri, Torino 1982, dice di averla prelevata da E. Neumann, L’uomo creativo e la trasformazione (1954), tr. it. di B. Spagnuolo Vigorita, Marsilio, Venezia 1981, presso il quale la ferita viene vista, infatti, come «un’apertura che dà sul mondo della conoscenza», come una fessura «da cui scorgiamo la luce» (p. 39). E aggiunge: «La sofferenza psichica spinge l’uomo creativo ad “aprire” dal particolare all’universale: non c’è uomo che non abbia conosciuto la sofferenza, ma solo la personalità creativa è capace di scorgere in essa, anche se non sempre in modo consapevole, qualcosa di più vasto, di comune a tutti gli uomini» (p. 40).
7 A. Carotenuto, Lettera aperta a un apprendista stregone, Bompiani, Milano 1998, p. 105.
8 Cfr. A. Montano, Il guaritore ferito. L’etica della vita e della salute tra responsabilità e speranza, Bibliopolis, Napoli 2004; M. T. Russo, La ferita di Chirone. Itinerari di antropologia ed etica in medicina, Vita e Pensiero, Milano 2006.
9 G. Porzio, Dal mito di Chirone all’arte della psicoterapia, in «Babele. Rivista di Medicina, Psicologia e Pedagogia», 2012, n. 15, pp. 13-15: p. 14.
10 Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, raccolti ed editi da A. Jaffé, tr. it. di G. Russo, Rizzoli, Milano 1978, p. 173. Questa affermazione, pronunciata da Jung, la sentiamo anche nel film A Dangerous Method (2011), del regista David Cronenberg. Qui, il padre della psicologia analitica la rivolge all’indirizzo della sua paziente, allieva ed amante Sabine Spielrein, figura, quest’ultima, cui è dedicato il libro di A. Carotenuto, Diario di una segreta simmetria. Sabine Spielrein tra Jung e Freud, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1999.
Per un dizionario della pandemia recupera materiali pubblicati nella collana Lessico Pandemico di Asterios Editore diretta da Aldo Meccariello
Abbiamo 354 visitatori online