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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
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Solitudine/Moltitudine
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L'eone della violenza
di M. Piermarini
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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
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Influenza

  

Estratto da Influenza  
Tensioni, deformazioni e irregolarità del presente

 

L’influenza e il contagio 

Il contagio consente al virus di entrare nell’organismo e si manifesta dapprima con la febbre, l’influenza. L’influenza è qualcosa da cui si viene colpiti, catturati, presi, stretti, sequestrati come da una “pinza” (grippe, in francese). Nell’influenza lo stato fisico non è più controllato dalla volontà del soggetto, perché il corpo (soma) è “preso” da una “pinza”, è affetto dall’influenza, afferrato e costretto ad una condizione di relativa ma significativa passività: preso, schiacciato, diminuito nelle sue espressioni vitali. Il danno alla salute individuale si riversa nella sfera pubblica. Ogni contagiato è portatore e diffusore del contagio. Paradossalmente l’epidemia è qualcosa che accade in mezzo al popolo, ma non è un’azione collettiva, anzi è la negazione della possibilità di corpi collettivi, implica la separazione dei soggetti, il distanziamento sociale. Essa si propaga da individuo a individuo ma, pur generando una reazione collettiva, non è un’impresa collettiva, un progetto, se non in un teatro di guerra batteriologica. Il pericolo di contaminazione suscita sospetti, paure di complotti e di congiure. Ritorna la logica del capro espiatorio. L’altro è un nemico possibile, una minaccia per la nostra salute. Lo straniero è una minaccia. Il clima delle relazioni sociali si deteriora. Diventa sempre più difficile parlare di comunità. Il morbo rigetta gli individui nella condizione dell’homo homini lupus. Si continuano a osservare i valori della convivenza civile con molta difficoltà. Si ritorna, nella storia dell’Occidente, ad opporre puro e impuro, interno ed estraneo, sano e malato, vivo e morto, come nel poema delle sue origini, l’Iliade. Diffondendosi, disseminandosi, il contagio causa il crollo della vita privata e rende molto difficile, quasi impossibile, il governo di sé e il rapporto significativo con gli altri. Che cos’è un contagio? Semplicemente un contatto? Come la connessione diventa seduzione? Cerchiamo di sottoporre questi termini ad un’analisi. Il rapporto tra l’ape e l’orchidea, tra il parassita e l’organismo da cui trae alimento, è un entre. Non è una fusione, un’identificazione, ma una connessione, un penetrare-essere penetrato, un trasformare-essere trasformato. L’entre-deux questi due, animale-uomo e animale-virus si toccano, si incontrano, si penetrano, entrano uno nell’altro. Questo è il contagio: un doppio movimento, che implica sempre un’influenza dell’uno sull’altro, una feconda-zione. L’incontro e il contatto possono verificarsi o non verificarsi. In questa associazione c’è del fortuito, qualcosa di “miracoloso”. Essa, come ogni miracolo, porta frutto: un cambiamento di stato, l’amore o la morte. La logica dell’incontro, del contatto, del contagio è quella della creazione di qualcosa di nuovo, in cui tutto cambia. L’individuo è divenuto un altro, un “contagiato”, un malato. Da questo momento in poi cambieranno i rapporti con gli altri. Il virus si replica nelle sue cellule. I contatti e le connessioni si moltiplicano. Il corpo del malato diventa un campo di relazioni, uno sciame di incontri e di trasformazioni. Viene alla mente l’analogia del contatto virale con il contatto erotico, una specie di contatto con cui la filosofia si è misurata da tempo, esercitando un’influenza potente e un potere di seduzione. Nella seduzione, scriveva Lucrezio, siamo presi prigionieri nei “lacci di Venere”. Si tratta di “reti dell’amore” in cui Venere “rinchiude solidamente la sua preda”. Anche qui si tratta di una cattura, dell’essere afferrati, come nella febbre dell’influenza. Una volta incappati in esse è quasi impossibile liberarsene. Non è semplice “infrangere i saldi lacci di Venere” che pure attivano un influenzamento nel godimento reciproco. Il De rerum natura di Lucrezio svela un aspetto inquietante dell’influenza. E’ forse un caso che lo stesso poema che celebra l’amore naturale e il piacere degli amplessi, libero dalla cura e dall’angoscia dell’innamoramento, si concluda con la descrizione della peste di Atene? Per il materialismo di Lucrezio l’amore è una malattia. Ma la malattia peggiore, l’epidemia di peste, che cos’è? Ricordiamo di aver visto l’immagine di corpi in ospedale sottoposti a trattamenti e terapie intensive, in cui il volto è celato, ma il ventre e il pube sono visibili. Un’immagine che significa molto. Nella malattia perdiamo la sovranità sul nostro corpo, prima per l’azione del virus che lo minaccia, poi per la medicalizzazione che lo disciplina. Ma anche il corpo sano è sottoposto ad una disciplina insolita: si riduce la sua libertà di movimento, la vita normale è appesantita dai divieti dell’autorità e da una serie di precauzioni.

 

Influenza e territorio

Le parole sono importanti. Ritorniamo alla parola miasme che Canguilhem utilizza per indicare il virus: un’emanazione, un vapore che sale da un territorio, dai corpi, un gas venefico, un’emanazione, un effluvio. La penetrazione dei territori è un’altra specialità filosofica. In un certo senso, come si è detto, la filosofia è sempre geofilosofia, in quanto non vuole tanto guidare l’esodo da un territorio all’altro, ma pensare la via possibile di uscita. Durante la trasformazione le influenze-esalazioni iniziano una danza, che ma può diventare una ridda, una festa ebbra degli spiriti. I morbi, lo abbiamo visto, invadono i territori, gli stati, i continenti, sono passaggi, transiti e i loro movimenti sono irrequieti, instabili. Le influenze sono anche declinazioni degli influssi, spesso malefici, del territorio. L’aria di mistero e di orrore che avvolge i viaggiatori in Cuore di tenebre di J. Conrad è un miasma che prende alla gola coloro che vogliono ordinare, colonizzare, dominare una plaga che è anche un’ambiente, un’atmosfera e una scena di azione, una potenza di espressione. Sentire l’influsso degli effluvi, patire un’azione indeterminata da parte di forze indefinite e incontrollabili che generano paura, terrore, come quando si è immersi nel buio, che sgomenta perché rimanda al vuoto, che è buio di parole, assenza di segni e fonte di inquietudine. L’influsso esercitato dal territorio rinvia da una parte al rapporto di causa-effetto, dall’altra lo esclude, insieme a tutto il determinismo che lo accompagna. Il passaggio, nel momento del transito, si consuma in una sospensione del tempo fattuale. L’influsso si presenta sotto forma di incantesimo che sospende il tempo, un evento che prolunga sé stesso e che è sotto l’incantesimo di altri eventi. In quel repentino sommuoversi della realtà, i contorni sfumano nell’indeterminato, nel fallimento della territorializzazione. Le sue imprese si compiono sulla superficie del corpo terrestre, un corpo pieno di aperture, di recessi, di oscuri meandri. Anche su questo suolo l’immanenza reclama i suoi diritti: l’influenza non è un’entità extraterrestre. Si radica in un ambiente e si propaga in un territorio. Si incontra un contagio e si fugge da un contagio. I territori e la terra. L’uscire e l’entrare. L’evento. Ciò che può accadere sortisce effetti più potenti di ciò che è già accaduto. Quello che in una congiuntura rischiosa, connotata dalla minaccia dell’epidemia come quella attuale, sconcerta e sconvolge l’immaginario collettivo è l’imprevedibile, che suscita ansia per gli innumerevoli pericoli che vi si celano. L’imprevedibile appartiene alla linea di manifestazione dell’Evento, che si effettua in una forma fredda negli accadimenti riferiti nei notiziari. Quale approccio adottare per governarne l’influenza? E’ stato giustamente rilevato che nei media l’Evento non si trova mai, perché, diversamente dai fatti, il suo flusso continua, esso è più della sua manifestazione. Potremmo dire che l’influenza dell’evento eccede la sua effettuazione, che l’evento, in quanto influenza altri eventi, si prolunga in essi. L’Evento ha insomma uno spettro di virtualità che supera e oltrepassa la sua mera, singola fattualità. Si tratta infatti sempre di vedere in esso delle possibilità, delle virtualità ulteriori. O si dimostra una fede ingenua negli accadimenti, rendendosi incapaci di vederli come effettuazioni transitorie, puntuali, dell’Evento o si fa appello all’influenza della filosofia e del suo insegnamento che si esercita nel richiamo perenne alla saggezza dell’Evento, alla consapevolezza dell’incompletezza della realtà, alla necessità di un ordine ideale, che sia un nuovo regime dell’esperienza. In questo senso la filosofia pretende di influenzare non la realtà di cui si fa parte ma quella in cui si fa ingresso. Quando entra in campo e attraversa le configurazioni del presente, i suoi mali e le sue virtù, critica le opinioni e sovverte le posizioni dell’insensatezza. In quanto geofilosofia conosce la logica dell’evento, che è quella dell’esperienza e sa che un territorio non può essere pensato a partire da un metodo, come un oggetto di ricerca scientifica, senza ridurlo ad un oggetto inerte, ma soltanto attraversato, esplorato, sperimentato. La filosofia pretende di esercitare la sua influenza, prima di tutto su sé stessa. I suoi tentativi di catturare l’evento avranno sempre questo significato: bisogna istallarsi nell’evento e risalire sino alla sua origine. Un divenire in cui si diviene, non può essere descritto. La sua mappa non può essere compiuta, perché l’evento è il divenire altro, il divenire come differenziazione, un doppio divenire si rovescia in un divenire molteplice, in una continua biforcazione. Questo divenire-altro è il Sapere stesso, il Concetto stesso. L’intreccio tra Ontologia e Logica o, se vogliamo essere coerenti, la loro identità, si fonda proprio su questo compenetrarsi degli stessi eterogenei nel corso del cambiamento in atto. L'evento, collocato all'interno della continuità del divenire, funziona come la piega provvisoria, una discontinuità, in cui si esprime la Voce dell'Essere. La piega deforma e condensa il piano. Incapsulato nel tempo cronologico, l'Evento rompe questa scorza per comunicare con tutti gli altri eventi in cui risuona l'Essere. L’influenza viene influenzata. “L’univocità eleva, estrae l’essere per meglio distinguerlo da ciò cui giunge e da ciò di cui esso si dice”.

 

Disseminazioni filosofiche

La filosofia ha molto in comune con il virus. Essa si propaga, anche in condizioni difficili, passa ovunque e raggiunge chiunque. Come il virus è la replicazione di sé stessa. Non è soltanto movimento, è propagazione, ma una vertigine di crescita, un boom di contagi. La filosofia è il “virus” che dissemina il sapere cosciente e la prassi attiva. Proprio come il linguaggio, di cui la filosofia sembra essere il delirio (la fine del senso comune, l’oltraggio dei buoni sentimenti) il virus è propagazione, disseminazione. La sua velocità e la sua propulsione è quella di un razzo d’artificio. Il suo impatto quello di una valanga, di un diluvio. Il conteggio della sua crescita sembra inarrestabile. Come una scrittura cifrata il virus è rivolto ad un destinatario assente e fa di ogni possibile un referente. Si reitera oltre la morte del destinatario, finché non trova la sua morte (nel vaccino che ne interrompe la proliferazione), così come la filosofia, che si identifica nella sua morte, nella dislocazione nella quale trapassa ad altro, trova una via di fuga, entra in altri territori. La scrittura consegna il segno alla sua deriva essenziale, così come il contagio consegna il virus non al suo movimento di crescita quantitativo (un vertice, un tetto numerico), ma anche alla deriva in cui si altera il suo codice, in cui si sottrae alla presenza. Proprio come una scrittura il virus ci cambia anche se non ci raggiunge, diventa il contenuto di un’esperienza, che sconvolge e trasforma gli animi mentre ordina i corpi. Delocalizzato, imprendibile, irraggiungibile e, una volta operante in presenza, temibile. Non si riesce a decifrarlo perché non si può cifrarlo. Diventa incomprensibile perché imprevedibile. Come la disseminazione di Derrida, il virus (e la filosofia) erompono. Ciò rende le previsioni in questa faccenda molto difficili, quasi impossibili, e moltiplica gli scarti, gli effetti imprevisti. Il virus testimonia a favore della complessità della natura, della sua resilienza, irriducibile a mero oggetto di dominio da distruggere. La filosofia perciò in rapporto ad esso è chiamata in causa due volte, a difesa dello Spirito e della Natura. Essa ha a che fare con due cose: con il desiderio e con la creazione. In quanto pratica che potenzia il desiderio è la scoperta di nuove possibilità di vita e influenza i territori che attraversa, ponendo dei termini e dei punti di flessione, dopo i quali le cose cominciano ad assumere nuove forme, sono sottoposta ad una nuova “piega” e trasformate. Quando una superficie muta, decadendo, in una palude, la filosofia la de-forma, confermando il suo impegno prioritario, la creazione. Sempre, laddove c'è creazione, essa è all'opera. Abbandona la riflessione astratta e il calcolo raziocinante per ri-flettersi in sé stessa e, flettendo, influenzare e inventare il nuovo. Abbandona la cattiva psicologia e la cattiva metafisica e comincia a ri-flettere, a costruire. E’ quello che è stato chiamato “il cinema del pensiero”, il fluttuare delle immagini. La flessione comunica, co-involge. Piega le gambe, oscilla, muta punto d'osservazione. Nelle sue flessioni, nello sforzo (conatus) delle sue torsioni, la filosofia non rinuncia alla Coscienza e alla Vita. Essa fa della coscienza una “presa” sulla vita, un punto di resistenza, che consente lo slancio ed è impossibile senza una torsione, una flessione importante. Cambiare posizione significa non soltanto muoversi, trasformarsi, ma catturare ed essere catturati, far risuonare l’essere e ripeterlo, ampliare il suo spettro di ridondanza, moltiplicare l'eco dell'esistere e difenderlo dalla violenza dell’uniformità che è la violenza del consenso.

 

 


Per un dizionario della pandemia recupera materiali pubblicati nella collana Lessico Pandemico di Asterios Editore diretta da Aldo Meccariello