AZIONI PARALLELE 
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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
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AP 2 - 2015
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 AP 1 - 2014
DIMENTICARE
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 I NOSTRI 
AUTORI

Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
ed. Chirico

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Modern/Postmodern
ed. MANIFESTO LIBRI
 
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Solitudine/Moltitudine
ed. MANIFESTO LIBRI

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 Vie Traverse
di A. Meccariello e A. Infranca
ed. ASTERIOS

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L'eone della violenza
di M. Piermarini
ed. ARACNE

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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
ed. ASTERIOS 

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 FLUSSI  INFLUSSI  INFLUENZE


New York, aprile 2020

New York deserta ma invasa da animali nel 12 Monkeys (1995) di Terry Gilliam, Los Angeles popolata di notte da uomini-vampiri in The Omega Man (1971) di Boris Sagal, l'Africa attaccata da una specie di Ebola in Outbreak (1995) di Wolfgang Petersen, il drammatico mondo senza sole di The Road (2009) diretto da John Hilcoat, sono solo una scelta minimale tra gli scenari di tanti film, tratti spesso da racconti o romanzi di fantascienza, basati su epidemie globali, apocalittiche.

Proprio come in una sceneggiatura cinematografica, nel 2020 il timore per le piaghe d’Egitto è ricomparso all’orizzonte del nostro vissuto esistenziale. Certamente, il cambiamento in corso nella nostra immagine del mondo, divenuta una palude infestata di insidie e di pericoli, e della storia, schiacciata sulle leggi immutabili della natura, produrrà fenomeni di compensazione, revivals religiosi o forme di saggezza alimentate anche dalla riflessione filosofica. Le piaghe d’Egitto troveranno poi una loro continuazione in altri flagelli apocalittici biblici: pestilenza, guerra, carestia, frutto dell’ira divina, di un Dio che non per perdona più e che riversa sulla terra la coppa ricolma della sua ira.

La prospettiva apocalittica è diventata un’esperienza quotidiana che recide alla radice ogni certezza. Si va confermando la diagnosi che fece a suo tempo Günther Anders, il quale, già nel 1945, dopo l’esplosione atomica, parlava di un’antiquatezza delluomo. Pare che la minaccia, ora, non provenga più dalla Tecnica, ma dalla Natura matrigna, la quale sotto il volto terribile di un virus contagioso, è venuta a chiedere il conto e a vendicarsi degli umani. Non sono più proponibili un tipo di produzione e un modello di sviluppo fondati sulla crescita illimitata dei profitti, sullo sfruttamento e l’alienazione delle persone, fino al punto di ridurle a scarti; sull’avvelenamento, la devastazione, la rapina e l’esaurimento dei beni naturali, che sono la sostanza di cui è costituito il mondo vivente.

Nei flussi interminabili di informazioni, di analisi, di previsioni, dettati in questi mesi dall’evoluzione della pandemia, la filosofia, nella sua doppia natura di farmaco e di veleno, somiglia sempre più a una diagnostica del presente che elabora le sue cartelle cliniche in continuo aggiornamento, quando invece dovrebbe ampliare la sua indagine volta a mutare il punto di vista degli strumenti categoriali e dell’agire. Il compito della filosofia è di combattere la paura, esercitare il governo delle passioni, evitare quella paralisi, quell’impotenza e quell’isolamento che caratterizzano l’individuo e la massa nella società postmoderna.

Il controllo sulle forze della natura, scatenate nelle loro manifestazioni distruttive, è impossibile fin quando non si riconosce l’autonomia di essa, la sua difformità e il suo status di istanza sovraordinata rispetto alla storia e alle vicende umane. Sotto l’incubo dell’infezione virale, si riaffacciano nuove e vecchie forme di idolatria, di feticismo, di superstizione, spesso suscitate dalla stessa volontà di conformarsi al dominio di sistemi politici legati al mercato capitalistico e alle sue leggi. Stupisce che anche qualche maître à penser sia scivolato in questa trama di pensiero “corto”. Aveva ragione Emil Cioran quando, in un saggio troppo presto dimenticato, scriveva che i filosofi e gli spiriti comuni si muovono ugualmente nellirreale1. Invece di denunciare ipotetici stati d’eccezione o presunti modelli hobbesiani, che caratterizzerebbero oggi la vita collettiva, lo sguardo filosofico dovrebbe andare alla questione di come preservare vite umane esposte alle furie del contagio, ai rischi ambientali, ai flussi devastanti del mercato, ai pericoli di una tecnica non più controllabile, alla distruzione degli equilibri ecosistemici.

Arrivati a questo punto, c’è forse bisogno di un sapere-saggezza, il quale, influenzando in maniera propositiva la scienza, nonché la politica, possa migliorare concezioni, comportamenti, assetti categoriali, stili di vita e così riequilibrare un rapporto non più prometeico e assolutizzante con la natura. Ma non è certo un sapere-saggezza quello dei cosiddetti Influencer di Internet, voci ascoltate e potenti all'interno di una società che rivela tanta infantile fragilità nelle sue superflue scelte di consumo. Influencer di moda, di musica, di arte, e di politica, pagati e assoldati dalla pubblicità, maschere spesso ridicole del mondo di oggi, ma non per questo meno determinanti nella sua evoluzione, o involuzione.

In definitiva, sono i flussi liquidi e gassosi della realtà, quella che spinge gli uomini a migrare, a cercare nuove terre e nuove possibilità di sopravvivenza, gli influssi che spingono gli uomini all’azione, o alla re-azione, e sono le influenze che pervadono gli organismi, a incidere sulla storia delle cose e delle coscienze. Mentre la loro assenza rappresenta il vuoto, la loro presenza determina, invece, la vita e lo scorrere di essa, da una generazione all’altra, in una situazione di indeterminazione e di paura. Il passare e il trapassare delle conoscenze, dei prodotti e dei consumi umani, avvengono in modo liquido, ovvero senza forma, come già avvertiva un preoccupato Bauman.

Certamente, diventa necessario riformulare l’idea di natura, ridotta sino a oggi a un semplice oggetto del processo lavorativo e del dominio dell’uomo e sottoposta per secoli a uno sfruttamento e a una devastazione sistematica, in funzione dell’accrescimento della ricchezza e dell’obbedienza agli imperativi di un’espansione economica illimitata. Occorre conferirle la sua vera fisionomia, quella di un ente molteplice e complesso, da interpretare e con il quale entrare in comunicazione. In poche parole, occorre non atteggiarsi più, andersianamente, a Titani della natura. L’influenza della filosofia in questo ambito si gioca sull’oltrepassamento delle soglie di specie, tra umano, animale e parassita (come il virus), nell’unione degli eterogenei e nella dimensione di un’ontologia “sinfonica” (il divenire-altro è l’ingresso dell’altro in noi, la convivenza con il non-umano, come passaggio dal sociale all’intrasociale).

L’arte, il cinema e la letteratura, scandagliando il rapporto tra uomo e natura, hanno rivelato i molteplici aspetti della loro inevitabile convivenza, nonché dell’aggressione dell’uno sull’altra. Come il virus ha invaso e avvelenato il corpo degli uomini, così l’uomo ha invaso il suo stesso ambiente e lo ha inquinato, distrutto, deformato. Le arti della narrazione hanno saputo mostrarci con efficacia il nostro possibile futuro, cosa che hanno fatto anche i movimenti ecologici, cui oggi si associa il nome di Greta. Ma le une e gli altri hanno saputo solo commuovere, ma non ancora muovere, nei fatti, l’azione amministrativa dei partiti politici.

Ci si affida alla vigenza del mondo delle merci, alla dimensione alienata dei processi produttivi e delle forme di soddisfazione dei bisogni e alla stesse forme alienate di consumo coattivo, compromesse nei periodi di crisi ecologica o sanitaria. L’incertezza, radice di tali atteggiamenti, deriva dalle stesse variabili del sistema economico dominante e dai nuovi equilibri che creano rapporti difficilmente governabili con le vecchie ricette. Si sta creando una nuova mitologia della scienza, della medicina e del sistema sanitario, delle macchine, dell’infallibilità del governo politico che gestisce la crisi sanitaria, considerati come salvatori dell’umanità e come figure-dispositivi dotati di un potere demiurgico. La loro influenza sulle società cresce a dismisura e con essa l’oggettivazione della libertà e l’azione di contenimento cui quest’ultima è soggetta. Si diffondono rappresentazioni collettive che raggiungono o superano l’acriticità delle forme peggiori di superstizione.

Il flagello sembra quasi una chance paradossale che la natura ci offre per riposizionare il senso del nostro stare al mondo, una volta che gli esseri umani hanno dismesso l’habitus dell’onnipotenza. Attraverso la sua influenza, la filosofia può imboccare così l’uscita di sicurezza dalla palude e dalle angustie del presente.

 

 








1 Cfr. E. Cioran, La caduta nel tempo, Adelphi, Milano 1995, p. 73.