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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Camilo José Cela, La famiglia di Pascual Duarte

 

 

Camilo José Cela

La famiglia di Pascual Duarte

 

 

Einaudi, Torino, 2004

trad. di Salvatore Battaglia

EAN 9788806171926, € 9

 

A metà strada tra il romanzo di stampo verista e gli echi donchisciotteschi, ecco La famiglia di PascualDuarte - l'opera prima, la più importante, a detta di Italo Calvino - di Camilo José Cela, scrittore di lingua castigliana nato in Galizia nel 1916, e Premio Nobel nel 1989. Il libro, pubblicato nel 1942, gode la fama di testo spagnolo più tradotto nel mondo, dopo il capolavoro di Cervantes, naturalmente. Raccontato in forma di autobiografia - fittizia -, esso narra le vicende drammatiche di un "povero diavolo", segnato da un destino perverso e sfavorevole. Il memoriale, incorniciato dalla nota iniziale e da quella conclusiva del "trascrittore" si basa su un fantomatico manoscritto redatto in carcere dal protagonista, prima che venga eseguita la propria condanna a morte.

Pascual Duarte viveva in un piccolo paese, caldo e polveroso, dell'Estremadura, al confine con il Portogallo, in una casa di calce bianca, squallida all'interno, ma in sintonia con gli esseri umani che l'abitavano. Esteban Duarte Diniz era il capofamiglia, un omone dedito perlopiù alla bottiglia e alla prepotenza domestica, che sfogava sulla moglie Engracia, una donna ossuta, maligna e coriacea, e su Pascual, che cresceva forte e selvatico, nutrito dall'odio e dalla violenza. La nascita della secondogenita, Rosaria, portò in famiglia un lungo periodo di tregua, che non possiamo, però, definire serenità. Pascual nutriva un sincero affetto per questa ragazzina sveltissima e indipendente, che abbandonò la famiglia già a quattordici anni. Nel frattempo, era nato Mario, un bambino malvoluto dalla madre e infelice nel fisico e nella mente, che finì i suoi tristi giorni affogato in una tinozza colma d'olio. Di lì poco era deceduto pure il padre, morso da un cane rabbioso.

Queste disgrazie, da un lato indurirono il carattere del giovane, ma dall'altro lo disposero all'amore per la bella Lola, rimasta subito incinta. Dunque le nozze, la luna di miele e il rientro a casa della coppia che aveva assaporato le prime stille di felicità. Ma la sorte si accanì. La prima gravidanza venne interrotta dall'aborto provocato dalla caduta della giovane da una giumenta; mentre il figlio successivo non arrivò a compiere i dodici mesi di vita. Pascual era devastato: fuggì a nord con l'idea di lasciare la Spagna e imbarcarsi per le Americhe. Non ce la fece. Dopo due anni ritornò a casa, da Lola, ancora in stato interessante. Il padre, stavolta, era il Borioso, torbido amante e sfruttatore della sorella Rosaria, più volte in forte contrasto con Pascual, che lo braccò fino a ucciderlo. Tre anni di reclusione per un omicidio non sembrano molti, ma il delitto d'onore, e la buona condotta, provocano diffuse simpatie.

Al rientro, morta anche Lola, ritrovò Rosaria che lo indirizzò tra le braccia della dolce Esperanza, la quale, non riuscirà a placare l'endemico risentimento di Pascual per l'arcigna madre, che trapasserà a fil di lama dopo una strenua e ferina lotta corpo a corpo. Il resto fu la reclusione e le amare riflessioni sulla vita. Poi venne il conto da pagare alla giustizia. Non ci fu pentimento alcuno. Mai. Perché Pascual aveva risposto all'istinto della sua natura e obbedito ai capricci del fato. Era null'altro che la vittima di un ambiente e di un'educazione bestiale che avevano generato in lui un senso di profondo dolore e ineluttabile solitudine. Ecco perché talvolta ci è tornato in mente Rosso Malpelo, protagonista della notissima novella di Giovanni Verga. Non era privo di sentimenti Pascual, anzi, la sua umanità primitiva si rivolgeva ai deboli, ai sofferenti, a coloro i quali la natura aveva mostrato il suo volto più malvagio, come Rosaria, come il piccolo Mario, come il suo delicatissimo figlioletto, prematuramente scomparso.

La cruda rappresentazione de La famiglia di Pascual Duarte non rappresenta solo l'aggiornamento moderno del filone picaresco, né il realismo espressionista della prima metà del Novecento, ma è piuttosto figlio della cupa atmosfera della guerra civile spagnola, di cui Camilo José Cela manifesta le paure e le angosce esistenziali. Ne consegue una poetica fortemente condizionata dalla sua aspra concezione del mondo, esplicata da una prosa diretta, popolare, ricca di proverbi e modi di dire, ma al tempo stesso permeata da una profonda pietà per l'umanità, brutale e maledetta, quanto dolente e desolata.