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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Ombre sul Mediterraneo

 

Disgraziatamente il Mediterraneo, negli ultimi due decenni, è tornato ad essere lo scenario di avvenimenti altamente tragici, quali l’immigrazione in Europa e le guerre civili in Libia e Siria. Sono avvenimenti che riguardano la sponda meridionale e orientale di questo mare, le sponde occupate da popolazioni di religione islamica. Proprio nel Mediterraneo cristianesimo e islamismo hanno trovato una frontiera comune, una frontiera che spesso è stata una trincea, dove le due religioni si sono scontrate, dando luogo a massacri incalcolabili e costanti nel tempo. Forse per questo motivo Henri Pirenne sostenne che l’arrivo dell’islamismo ruppe l’unità originaria di questo mare tra le terre, che per le sue piccole dimensioni non divide, ma unifica. Appunto l’unità delle varie popolazioni che abitano sulle sue sponde, nonostante le divisioni sanguinose del corso del tempo, hanno mantenuto un’unità costante nel tempo. La mia affermazione sembra una contraddizione, ma è sotto gli occhi di chi vuol vedere e capire che nel Mediterraneo, nel corso dei secoli, si è mantenuta una comunità, tra le sue popolazioni, della vita quotidiana, dei modi di lavorare, di mangiare, di bere, di vivere che è veramente una straordinaria realtà storica, altamente positiva e di grande valore, proprio alla luce di quanto sanguinose siano state le divisioni religiose o politiche. Questa comunità ha un tempo di lunga durata, per usare una concezione di uno dei maggiori conoscitori e descrittori di questa civiltà mediterranea, che fu Fernand Braudel. Le sanguinose divisioni non hanno intaccato la profondità di questa comunità di vita.

Per questo motivo un libro che vorrebbe dedicarsi all’analisi di questa comunità attira la curiosità e l’attenzione. Il libro in questione è Lumi sul Mediterraneo1, che, a rendere ancor più grande l’aspettativa è aperto da un saggio di un filosofo tunisino, Fathi Triki, quindi una voce che proviene dal mondo arabo, islamico, non eurocentrico, non cristiano, che viene dal mondo Altro che è appena a poco più di centinaio di chilometri dalle coste siciliane. Insomma ci si aspetta una voce altra, ma che al contempo abbia tratti in comune con i nostri, che sia un altro in relazione reciproca, in comune, con noi europei.

Triki non prende posizione apertamente anti-eurocentrica, non sviluppa un pensiero alternativo al dominio culturale eurocentrico. Altre culture, lontane e vicine all’Europa e agli Stati Uniti, hanno sviluppato un pensiero più radicalmente altro da quello eurocentrico. Mi sto riferendo alla cultura latinoamericana, che ho sempre definito l’Altro Occidente, perché ha in comune con il Centro del mondo la religione, le istituzioni politiche e le lingue; in comune con la cultura islamica ha la prossimità con il Centro del mondo, è una periferia vicina, ma pur sempre Periferia, e sta sviluppando una propria concezione del mondo a partire dal fatto di essere una Periferia, di essere l’Altro del Centro. Mi riferisco esplicitamente alla Filosofia della Liberazione di Enrique Dussel. L’Islam, invece, è considerato da un’opinione pubblica ampiamente diffusa come una sorta di nemico dell’Occidente, del Centro del mondo, un ostacolo, – in fondo l’unico ostacolo – alla formazione di una vera e propria concezione globale dell’umanità.

Triki condivide il progetto globalizzante della filosofia del Centro del mondo, vuole essere ascoltato, si ribella a quello che in francese, la lingua del paese colonizzatore, chiama ensemblisme, che è «stato di fatto che unisce tutti gli uomini e li governa attraverso la dittatura, la violenza e la guerra» (p. 25); ma, per fortuna, lo traduce in arabo, la sua lingua originaria, nel concetto di al-ghalaba, che è «lo stato di pace ottenuto con la forza delle armi» (p. 26). Dico “per fortuna”, perché così possiamo scoprire qualcosa di nuovo, che, allo stesso tempo, è qualcosa che conosciamo benissimo: l’al-ghalaba è la pax romana, la condizione a cui erano sottoposti i popoli sotto la dominazione romana, è la condizione a cui erano sottoposti i popoli sotto il colonialismo europeo, era la condizione a cui erano sottoposti i cittadini libici, siriani, iracheni prima che gli occidentali gli volessero portare la loro libertà e la loro democrazia, che sono di gran lunga peggio della precedente al-ghalaba, perché adesso anche le loro vite sono messe in difficoltà.

Qualcuno obietterà che il discorso è scivolato sulla politica, ma i due bravi curatori del volume sono stati molto espliciti nel presentare il volume, richiamandosi proprio a Pirenne, hanno affermato che il Mediterraneo è «un mare fortemente politicizzato, in cui le istanze identitarie e i diversi monoteismi hanno preso il sopravvento sulle vite delle popolazioni, condizionandone fortemente le relazioni umane» (p. 11). Naturalmente ho già detto che, secondo la mia esperienza di abitante della sponda meridionale del Centro del mondo, la situazione non è così drammatica, l’esperienza della convivenza civile in una città come Mazara del Vallo lo dimostra, ma di Mazara del Vallo non parla mai nessuno – o forse non se ne deve parlare, non si deve parlare che siciliani e tunisini hanno le stesse tradizioni, lo stesso cibo, lo stesso valore, la stessa terra. I curatori, poi, ritornano sui loro passi e affermano che vorrebbero tornare all’antichissimo “spazio comune” (p. 12). In realtà basterebbe scendere più in profondità nel tempo dell’oggi per ritrovare lo spazio comune. Molto giustamente, ritorno a dirlo, si è fatto aprire il libro all’ospite, all’Altro.

Ritorno a Triki e all’al-ghalaba. Come scrivevo sopra, l’al-ghalaba è la pax romana, la pace imposta ai dominati per potere meglio dominarli, modello per il dominio coloniale europeo sul resto del mondo. A differenza dei romani, però, le madrepatrie – madrepatrie di chi? degli europei, non certo dei popoli coloniali – hanno imposto la loro pace e con essa il razzismo, la convinzione europea che essendo dominatori, fossero superiori dei dominati. In realtà gli europei provenivano da una delle zone più povere ed aride del pianeta, l’area mediterranea. Gli storici dell’agricoltura indicano l’agricoltura mediterranea con il termine di “aridocultura”, cioè coltivazione di terre aride, che in quanto tali, non riescono non sono riuscite a sostenere storicamente la sopravvivenza delle popolazioni mediterranee. Così nel Mediterraneo sono arrivate altre culture di altre piante, ma, in pratica, il solo ulivo e la vite sono piante mediterranee. Se non fossero arrivate la patate o il mais dall’America l’intera popolazione europea non sarebbe riuscita a togliersi la tradizionale fame. Si pensi che la pianta più tipica della cucina italiana è, in realtà, americana: il pomodoro. Due ricchissimi paesi europei fanno della cioccolata l’alimento caratteristico della loro cultura alimentare, Olanda e Svizzera, ma ci sono alberi di cacao in Olanda e Svizzera? Questo è l’aspetto più appariscente del colonialismo, ma anche il più vantaggioso per il Centro del mondo.

Triki, giustamente, coglie questo aspetto di dominio del Centro sulla periferia, e lo fa diventare il centro del suo saggio, quando sostiene che «la dottrina dei diritti dell’uomo è essa stessa rimessa in questione e accusata di essere, a volte non senza ragione, il risultato di una tradizione monoculturale occidentale. Questa dislocazione dell’umanità da parte dell’ipercapitalismo riduce sempre più il rapporto tra uomini in un sistema d’esclusione a due poli: il razzismo e la colonialità»2. La colonialità è, secondo il mio giudizio, il concetto più innovativo del saggio di Triki, è un concetto fecondo di riflessioni e applicazioni. Triki continua, spiegando cosa intende per colonialità: «Questa nozione di colonialità è un po’ barbara, ma bisogna affrontarla molto seriamente non solo perché è oggetto di studio nelle università americane (ne parla anche Derrida), ma soprattutto perché essa può spiegare un nuovo atteggiamento dell’imperialismo nei confronti dei paesi dominati»3.

L’eurocentrismo di Triki emerge dall’uso che fa del termine “America”: «Tutto ciò conferisce alla nozione di colonialità uno statuto particolare per comprendere i rapporti inter-umani all’interno e all’esterno degli Stati Uniti d’America»4. Come la quasi totalità degli intellettuali, e anche delle persone comuni, del Primo Mondo, l’America sono soltanto gli Stati Uniti, quindi la colonialità è un fenomeno unicamente statunitense. Ma poco prima Triki aveva affermato: «La modernità è stata inaugurata da una grande forma di colonizzazione dell’America che si è tradotta in massacri a un livello mai immaginato prima, genocidio della popolazione indigena rimasto impunito e, soprattutto, l’istituzione di una struttura di potere razzista ed esclusiva in vigore fino a poco tempo fa»5. Dall’ultima frase si evince manifestamente la concezione eurocentrica di Triki che considera la modernità il risultato della colonizzazione dell’America del Nord, quindi la fa risalire intorno al 1600 circa, quando furono fondate le prime colonie europee in quei territori che poi diventarono gli Stati Uniti. A questo punto, il momento più decisivo del processo di colonizzazione degli Stati Uniti è la promulgazione dell’Indian Removal Act del 1830, quando il Congresso degli Stati Uniti decise, sulla base di un diritto usurpato ed escludente il diritto materiale alla vita degli indiani, che questi potessero essere rimossi (massacrati) per permettere ai coloni europei, ormai cittadini statunitensi, di occupare le loro terre? Spero che Triki non risponda affermativamente a questa domanda.

Con la sua affermazione riguardante la colonizzazione dell’America Triki forse si riferisce a tutta l’America? Spero che Triki risponda affermativamente a questa domanda. Come è universalmente noto, la modernità inizia – e non è inaugurata – con la conquista dell’America, ma si intende la conquista di tutta l’America, quindi anche dal Sud-America, più o meno cento anni prima della colonizzazione degli Stati Uniti. Anzi fu proprio il “successo” di quella colonizzazione ad indurre i nord-europei ad occupare le terre che stavano per essere occupate dagli spagnoli nella parte settentrionale del continente americano. È la colonizzazione dell’America del Sud che spinge alla colonizzazione dell’America del Nord. Ci sono anche importanti differenze tra le due colonizzazioni: gli spagnoli estrassero soprattutto metalli preziosi dalle terre conquistate, i nord-europei occuparono il Nord-America per viverci. I metalli preziosi spagnoli e portoghesi, mediante la pirateria, diedero l’avvio, in Inghilterra e Olanda, al processo di accumulazione originaria del capitale che diede inizio al capitalismo europeo. Nel 1848 fu scoperto l’oro in California ed iniziò il processo di accumulazione originario del capitale che diede inizio al capitalismo statunitense.

Ma il concetto di colonialità è molto utile per capire le forme di relazione tra gli esseri umani, almeno della relazione tra gli esseri umani del Centro e di quelli della Periferia. Triki è molto esaustivo su questo punto: «Se analizziamo la storia della modernità in rapporto alla concezione dello straniero che continua ad affascinare, ma che bisogna dominare (l’emigrato, i rifugiati, i clandestini, i senza tetto, ecc.), non c’è alcun dubbio che la colonizzazione sia il termine chiave che permette una prima espressione dell’intercomunicazione attuale degli uomini»6. Non c’è dubbio che la colonizzazione sia oggi terminata come istituzione politica, ma continua come istituzione economica e culturale: il Centro del mondo continua a colonizzare la Periferia. Non a caso un passo, molto significativo, del saggio di Triki è stato citato da due altri autori di Lumi sul Mediterraneo7: «C’è un aspetto culturale importante nella colonialità che non bisogna sottovalutare: l’inferiorizzazione sempre attiva e conseguente a questa coppia razzismo/colonialià della cultura del Sud, quella che gli emigranti si portano dietro con se stessi. L’intellettuale del Sud è sempre inferiorizzato, raramente ascoltato e citato dai suoi pari del Nord. Senza dubbio, gli intellettuali occidentali onesti lottano coscientemente contro le disposizioni e i pregiudizi relativi alla razza, alla classe sociale, alla regione, al sesso, all’origine etnica, alla religione, alla nazione, etc., ma messi in trappola dai media e dai “soldati della penna”, cadono in prese di posizione ideologiche di inferiorizzazione di tipo coloniale»8. Triki sembra proprio prigioniero di questa trappola e gli autori degli altri saggi, contenuti nel libro, non sembrano aiutarlo ad uscirne.

Triki ha, senza alcun dubbio, piena ragione nel denunciare l’inferiorizzazione, conseguenza della colonialità. Credo che per uscire dalla trappola della colonialità, l’intellettuale della Periferia dovrebbe sviluppare categorie e concezioni del mondo che siano proprie, che sorgano dalla realtà in cui vive. In pratica l’intellettuale del Sud deve farsi portavoce dell’atto-di-parola che viene dall’essere umano escluso e sfruttato, che vive nella Periferia del mondo, atto-di-parola che è un’interpellazione nei confronti del sistema di dominio, che è rappresentato, anche se incoscientemente, anche dagli intellettuali “onesti” del Centro. L’atto-di-parola degli esclusi e degli sfruttati, l’interpellazione degli intellettuali del Sud hanno come fondamento la vita degli esseri umani, il diritto negato alla vita materiale degli esseri umani. In Lumi sul Mediterraneo si parla molto dei diritti umani, usati anche come strumento di nuovo imperialismo, cioè usati malamente: «Nel mondo reale le situazioni come quelle denunciate da Triki, dove le potenze occidentali egemoni si trincerano dietro cause buone o presunte tali (difesa dei diritti umani, interventi umanitari, esportazione della democrazia) per destabilizzare Paesi o intere regioni e per affermare il loro potere sono all’ordine del giorno. Ma questo pessimo uso dei principi universalisti non è una buona ragione per rinunciare ad essi»9. Qui si denuncia una sorta di feticizzazione dei diritti umani; processo di feticizzazione che è una caratteristica del sistema capitalistico di dominio: trasformare in feticcio ciò che sono gli elementi fondamentali della sua forma d’essere. Il capitalismo si fonda sul feticismo delle merci, ma anche sul feticismo dei diritti umani.

Tutto ciò è senza dubbio vero per quanto riguarda quelli che chiamo i diritti immateriali degli esseri umani, ma nessuno nel libro ha sostenuto che ci sono diritti materiali degli esseri umani che sono quotidianamente negati. Mi riferisco al diritto di mangiare, bere, vestire, abitare. Se un essere umano non riesce a mangiare, a bere, a vestirsi adeguatamente al clima dove vive, ad abitare può pretendere diritti immateriali, quali quelli che Triki indica con la felice asserzione del vivere-insieme nella dignità10. Innanzitutto si deve poter vivere, la dignità è la necessaria conseguenza di una vita.

Il Mediterraneo è adesso attraversato da masse di esseri umani che provengono da regioni dove è difficile vedere riconosciuti i diritti materiali e impossibile vedere riconosciuti i diritti immateriali degli esseri umani. Il Mediterraneo spesso si trasforma in cimitero per questi esseri umani. Il governo italiano non vuole accogliere coloro che sono nella stessa condizione che ebbero 60 milioni di italiani che fino al secolo scorso emigravano per potere vedere riconosciuti i propri diritti materiali. Il Mediterraneo è diventato un luogo di ombre.

Finora si è vissuti vicini e non insieme. Propongo agli intellettuali del nord – di cui faccio parte – di lottare perché tutti gli esseri umani possano dapprima vivere e poi possano vivere-insieme nella dignità, possano sviluppare un progetto di vita degna di essere vissuta. Oggi non tutta l’umanità è in grado di soddisfare il desiderio naturale dell’essere umano di vivere una vita degna di essere vissuta.

 

Note al testo

1 Lumi sul Mediterraneo. Politica, diritto e religione tra le due sponde del Mediterraneo (a cura di A. Cecere e A. Coratti, Milano, Jouvence, 2019, pp. 174).

2 F. Triki, “Dignità e umanità: una possibile convivenza mediterranea”, in Lumi sul Mediterraneo, cit., p. 29.

3 Ibidem.

4 Ivi, p. 30.

5 Ivi, pp. 29-30.

6 Ivi, p. 29.

7 P. Quintili, “Politica e diritti tra Europa e Maghreb. Alle origini della nozione di ‘laicità’“, in Lumi sul Mediterraneo, cit., p. 116 e S. Petrucciani, “I diritti umani e i paradossi dell’universalismo”, in Idem, p. 120.

8 Triki F. op. cit., p. 35.

9 S. Petrucciani, op. cit., pp. 127-128.

10 F. Triki, op. cit., p. 26.