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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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David Lapoujade, Le esistenze minori

 

 

David Lapoujade

Le esistenze minori

introduzione di Lucio Saviani

 

Moretti&Vitali, Bergamo 2020,

pp. 102, EAN 9788871867854

€10,00



Un grande tema della filosofia sempre in agenda, sempre evocato, richiamato, celebrato ma mai veramente discusso in profondità è quello della realtà dell’esistenza o meglio ancora dei rapporti tra realtà ed esistenza. Almeno da Cartesio in poi, le nozioni di esistenza e realtà si intrecciano, si confondono, si sovrappongono eludendo l’interrogativo di fondo: quando l’esistenza diventa più reale nel senso che guadagna forza, estensione, consistenza? E se l’esistenza manifestasse più modi o più piani di realtà? A tali questioni risponde il volume dal titolo enigmatico di David Lapoujade, Le esistenze minori, ottimamente introdotto da Lucio Saviani (Moretti&Vitali, 2020).

L’autore esplora in sei brevi e densi capitoli una particolare prospettiva ontologica, quella del pluralismo esistenziale, centrale nell’opera di Ѐtienne Souriau (1892-1979), il filosofo ed estetologo francese poco conosciuto e studiato in Italia. Les différents modes d’existence è senza dubbio uno dei suoi lavori più rilevanti, apparso nel 1943 di cui c’è una traduzione italiana uscita per Mimesis solo nel 2009. L’obiettivo dichiarato del libro è di ricostruire una traccia genealogica di questa prospettiva ontologica in autori più svariati da Pessoa a Hofmannsthal, da Kafka a Beckett, da James a Bergson che hanno cercato di pensare fuori dalle categorie filosofiche tradizionali per rendere capace il pensiero di «tutti i raggi multicolore dell’esistenza» (Souriau).

Un essere può esistere secondo molti modi o su più piani distinti pur restando numericamente uno. Lapoujade adotta la prospettiva di Souriau e ne rileva la centralità nel dibattito filosofico contemporaneo evidenziando l’univocità e l’inadeguatezza dell’ontologia parmenidea e dell’intera tradizione metafisica perché l’Essere non è chiuso su se stesso, rinserrato all’interno di un sé inaccessibile ma è aperto alle prospettive e ai piani che lo dispiegano. Non si tratta soltanto di constatare dei modi riconosciuti e indubitabili di esistenza, ma anche di conquistarne di nuovi perché ci sono modi di esistenza ancora senza nome e inesplorati, da scoprire. «Tutti i modi di esistenza includono un punto di vista; è proprio in questo che si distinguono dalla pura e semplice esistenza. Souriau lo ripete spesso: bisogna trovare il punto di vista della cosa, poiché ogni modo di esistenza possiede un punto di vista» (p.47).Si afferma così un «pluralismo esistenziale» che rimette in questione le grandi forme dell’ontologia o i grandi sistemi teologici in cui gli esseri si ordinano secondo gradi gerarchici e in funzione di un archetipo superiore.

Il pluralismo esistenziale che si presenta, spiega Lapoujade, «dapprima sotto forma di atomismo ontologico» (p.29), è la maniera di far esistere un essere su questo o quel piano, ossia «è un gesto», di natura instaurativa, che non ha preesistenza né si imprime esteriormente ma è intrinseco all’esistenza stessa. «Ogni esistenza possiede, da questo punto di vista, la massima perfezione possibile. Un tramonto, la facciata di un palazzo, un’illusione ottica, una danza di elettroni, un triangolo isoscele, un’idea astratta. Su questo piano non c’è alcuna gerarchia, alcuna valutazione possibile» (p.29).

L’aspetto caratterizzante della filosofia di Souriau, come rileva il curatore Lucio Saviani, è che la verità dell’essere, le forme che svelano il senso del mondo, la stessa ‘instaurazione cosmica’ «sono altrettante parti di una filosofia dell’arte. Tutto il pensiero di Souriau è una filosofia dell’arte e non vuole essere nient’altro […]l’estetica smette di giocare un ruolo secondario o avventizio, non è più un comparto o una regione della filosofia, così come parliamo dell’estetica di Hegel o di Schelling» (p.18).

La medesima classificazione dei modi di esistenza (i fenomeni, le cose, gli immaginari, i virtuali) apre all’estetica come una nuova filosofia prima le cui radici non sono tanto quelle di sentire le cose ma considerarle immediatamente come il risultato di una "fabbricazione", di un'instaurazione di forme secondo criteri che rivelano il carattere conoscitivo dell'arte. La scelta del termine Instaurazione si spiega al fine di evitare il riferimento all’idea di creazione, che è ambigua. «Instaurare consiste nel consolidare l’esistenza di un essere proprio come si forma un’istituzione, una cerimonia o un rituale» (p.73). L’esempio scelto da Souriau è l’instaurazione filosofica perché ogni filosofia è un’instaurazione cosmologica. Il filosofo vaglia e purifica il caos. Lo ordina.

L’opera filosofica può essere dunque legittimamente concepita come il prodotto di una instaurazione, come un monumento di idee espresse in un sistema architettonico, come un corpo di testi che può essere studiato in maniera positiva a partire dalla sua stessa materialità, in quanto cosa. Con Kant e oltre Kant, Souriau distingue un'esistenza "ontica", eleaticamente già data, e un'esistenza "instaurata" che è, in qualche modo, "inventata" cioè plurimodale, cosmicamente fondata. Il primo è il livello dell'esistenza di primo grado, Il secondo è il livello dell’esistenza di secondo grado: esistenze maggiori e esistenze minori? Decisamente no. Nel pensiero di Souriau non vigono gerarchie: infatti, scorrendo l’insieme dei motivi che vengono toccati nella sua opera (instaurazione, pluralità, prospettivismo, modalità, virtuale, immanenza, etc.), si coglie, come fa notare Lapoujade, il significato delle esistenze minori, senza le quali non vi sarebbe affatto esistenza e l’esistenza è ciascuno dei modi di esistenza, non più di quanto, per usare le parole di Souriau, vi sarebbe Arte pura senza le statue, i quadri, le sinfonie, i poemi.

«Ѐ chiaro che il criterio di distinzione dei modi di esistenza è prima di tutto strutturale, relativo alle condizioni tramite cui una realtà si pone nel proprio modo di esistenza. Queste condizioni descrivono la loro maniera di distribuirsi in uno spazio-tempo definito e di occuparlo» (p.34). Lapoujade dedica una particolare attenzione agli esseri virtuali che sono al centro delle analisi di Souriau come esempi di esistenze minori che non sono affatto inesistenze ma modi far esistere. Esistere e far esistere conservano la medesima consistenza ontologica che solo la letteratura è in grado di rendere conto in maniera efficace all’insegna della nozione del punto di vista, delle infinite possibilità che la scrittura può creare. Lo scrittore Henry James viene preso a modello per la sua scrittura impregnata di una nube di virtuali esemplificata peraltro in molte opere (quelle citate da Lapoujade, Le spoglie di Poynton e La vita privata) ma aggiungerei Ritratto di signora dove c’è l’ottima descrizione della labirintica casa della narrativa che non ha una finestra sola ma un milione - un numero quasi incalcolabile di possibili finestre - ognuna delle quali è stata aperta, o è ancora apribile, sulla sua vasta fronte, dalla necessità della visione e dalla pressione della volontà individuale.

I virtuali sono pertanto oggetto di un’ardita pluralità di manipolazioni d dislocazioni come l’insieme delle proposizioni dello sguardo o dei movimenti dell’occhio. La loro maniera di essere «consiste proprio nell’essere incompiuti; sono perfettamente, intrinsecamente incompiuti. Questo significa che in essi agisce un’attesa o un’esigenza di compimento» (p.38). La virtualizzazione non coincide con uno scarto di realtà oppure con un universo a parte, con uno scivolamento presso frontiere alternative ma si rivela uno tra i principi che generano la realtà stessa.Una realtà che non sia accompagnata da una nube di potenzialità non è una realtà pienamente compiuta. «Ogni esistenza può diventare incitamento, suggestione o germe di altra cosa, frammento di una nuova realtà futura» (p.39). Le esistenze possono, in altri termini, modificarsi, trasformarsi, intensificare la loro realtà. Lapoujade sviluppa con molta efficacia l’orizzonte teorico del pensatore francese che attua il passaggio dall’atomismo ontologico iniziale, quello dei modi di esistenza (il modale), alla loro trasformazione gli uni negli altri (il transmodale).

Un’altra sfida teorica di Souriau è condotta nei confronti della fenomenologia che Lapoujade ricostruisce nel terzo capitolo, Come vedere. Preliminarmente, occorre partire ancora una volta dalla scelta del punto di vista che è funzionale alla messa a fuoco del fenomeno e allo studio delle sue variazioni. Tutti i modi di esistenza includono sempre un punto di vista. Un punto debole della fenomenologia è che essa «non arriva a cogliere l’”anima” del fenomeno, malgrado le precauzioni metodologiche. Non coglie le cose dall’interno, ma dal di fuori, secondo il punto di vista della coscienza che le osserva. La sua prospettiva è sempre quella della coscienza, mai quella del fenomeno stesso» (p.45). I «fenomeni» o le «cose stesse» non si ricavano una volta per tutte nella visione intuitiva che approdava in Husserl alla «soggettività trascendentale fenomenologica», alla «coscienza pura» che è coscienza del mondo, ma non è più realmente nel mondo. Il tentativo di dar vita a una fenomenologia che non abbia il proprio fondamento nella sfera della soggettività accosta questa prospettiva di Souriau a quella del pensatore boemo Jan Patočka (1907-1977) che conia una fenomenologia asoggettiva, capace di andare oltre l’oggetto e il soggetto della manifestazione. Se Patočka ritiene che con l’estensione dell’epoché sia possibile uscire dal paradigma del soggetto trascendentale così da portare alla luce il nucleo organizzativo di una struttura universale dell’apparizione, Souriau lavora molto sulla rielaborazione della nozione di riduzione che è «prima di tutto opera di pulizia. Bisogna purificare il campo dell’esperienza da tutto ciò che impedisce di vedere. In questo senso, ridurre significa produrre un piano di esperienza pura» (p.47). Si tratta di un’operazione di “purificazione”, non perché fa riferimento o riporta a ciò che vi è di più essenziale, alla sostanza o natura delle cose, alle essenze nascoste o all’identità recondita di qualcosa, all’interiorità profonda del reale, ai costituenti ultimi delle cose in senso atomistico, piuttosto la riduzione fenomenologia, agli occhi del pensatore francese, deve partire dal grado zero dell’esperienza per far vedere nuove entità, nuove esperienze vissute nel «punto di conversione» dove l’esperienza medesima si costituisce. Esperienza pura o grado zero sono destinati a ripulire la percezione come le arti visive fanno «quando hanno bisogno di restituire la pagina, la tela e lo schermo al bianco o al nero per ricominciare tutto» (p.51). Qui, il tema della filosofia come arte si apre ad ulteriori sviluppi, anche questo lavoro di Lapoujade spalanca al lettore vie inedite per riflettere sulla filosofia e sull’arte della contemporaneità.