Lucia Faienza, Dal nero al vero

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Lucia Faienza

Dal nero al vero

 

 

Mimesis, Milano, 2020, pp. 256,
ISBN: 9788857563800, € 22



 

 

 

Il noir come tragedia della contemporaneità. Se la tragedia è «ciò che non può essere ricomposto» – come rammenta Edoardo Albinati nel romanzo La scuola cattolica, un tentativo di ricostruzione delle radici del delitto del Circeo – nell'evoluzione dal giallo al noir si può leggere la svolta dell'epoca contemporanea.

Che cosa dice il noir del mondo di oggi è la questione dalla quale muove il saggio di Lucia Faienza, Dal nero al vero, che analizza, in particolare, il fenomeno della contaminazione tra cronaca e finzione nella produzione letteraria italiana contemporanea. Da una parte la letteratura finzionale di genere poliziesco attinge dai fatti della cronaca e della storia recenti; dall'altra, specularmente, testi non finzionali, anche quando non abbiano per argomento il delitto, ricorrono alle strutture narrative del poliziesco.

La constatazione che oggi, come afferma Albinati nel romanzo citato, «il crimine paga» – un fatto evidente nell'utilizzo mediatico, oltre che letterario, del quale esso è reso oggetto – porta a interrogarsi sulle motivazioni più profonde di quello che egli definisce appunto «sfruttamento del delitto» nella società contemporanea.

L'interesse per il crimine appare come un indicatore di un più generale bisogno di comprensione della realtà, in un frangente storico nel quale essa è percepita come sfuggente, inarrivabile. «Un mistero», qual è un delitto, esercita allora sulla letteratura – sugli scrittori e sui lettori – un'attrazione tale in quanto, come rilevato da Franco Cordelli, rappresenta «il mistero» per antonomasia: l'indagine su di esso esprime cioè un'esigenza di investigazione ulteriore, che rimanda a una dimensione essenzialmente metafisica.

Se il giallo classico è l'espressione della fiducia positivistica nelle capacità della ragione umana, incarnata dall'investigatore, il noir manifesta la resa della ragione nei confronti della realtà, la consapevolezza cioè dell'impossibilità di una comprensione e di una modifica di essa. L'erosione dello schema tradizionale del giallo comincia nella prima metà del Novecento – «giallo e Novecento appaiono [...] come due rette divergenti», sintetizza Giuseppe Petronio, uno dei più noti studiosi italiani del genere – quando alle istanze di un maggiore realismo si unisce la critica della logica, il principale strumento per la risoluzione di un caso. Nel suo La promessa, pubblicato nel 1958 col sottotitolo Un requiem per il romanzo giallo, lo scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt sancisce così l'esito di questo processo: «Con la logica ci si accosta soltanto parzialmente alla verità. [...] Un fatto non può "tornare" come torna un conto».

Il fine del noir non è la soluzione del delitto, ma il racconto e l'analisi dell'irrazionalità del male, svolti spesso da dentro: il protagonista non è più l'investigatore, ma il criminale. L'ordine infranto dal crimine non viene quindi ripristinato, come nel giallo classico: la giustizia, ovvero il bene, non vengono ristabiliti. Il nesso tra causa ed effetto, che nel giallo riconduce il male a una spiegazione razionale – e così ne ottiene l'esorcizzazione, l'estromissione dall'ordine sociale – viene scardinato dall'insensatezza del male. Il grado di efferatezza raggiunto dal male nel noir appare privo di motivazione, di giustificazione: una gratuità che, come ha sostenuto Valerio Evangelisti, riflette «l'estinzione del movente» nell'attuale cronaca nera.

Il risultato dell'approccio realistico del noir è uno sguardo disincantato, in grado di vedere oltre le apparenze della distinzione tra bene e male, dei quali fa emergere l'ambiguità, la permeabilità. Il criminale è allora solo colui che porta alle estreme conseguenze, attraverso il suo atto, un male a cui tutti appartengono. Pietro Maso, nel libro di Gianfranco Bettin, è L'erede non solo dei suoi genitori, dei quali ha premeditato il massacro per appropriarsi dei loro averi, ma soprattutto di quella società materialista che l'ha prodotto, «un sistema in cui il valore di ogni cosa si misura in denaro». Ne La scuola cattolica la brutalità degli autori dello stupro di due giovani donne in una villa del Circeo, conclusosi con la morte di una di loro, manifesta il sommerso di un modello educativo fondato sulla repressione degli istinti come quello cattolico. In questi testi – «una storia dal vero» il primo, un romanzo costruito su un fatto di cronaca nera il secondo – il crimine assume quindi un valore metonimico, in quanto tramite per la comprensione del contesto sociale e culturale in cui è maturato; e attraverso ciò, rivelandone le insidie, per lo smascheramento delle ideologie del nostro tempo, quali, nella fattispecie, il capitalismo e il cattolicesimo.

Nella scrittura contemporanea la finzione assume i toni del noir non solo in quanto contenuto, ma anche in quanto schema per l'interpretazione della realtà. L'esito di questa ricerca, tuttavia, è l'accettazione di una verità paradossale, che non coincide con quella giudiziaria o storica: la verità del dubbio, la verità del male, la verità della tragedia.