Mattucci, Recchia Luciani, Obsolescenza dell'umano

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Natascia Mattucci,
Francesca Romana Recchia Luciani
(a cura di)

Obsolescenza dell'umano.
Günther Anders e il contemporaneo

 

 

Genova, ll Nuovo Melangolo, 2018

pp. 187, EAN 9788869830358, € 17

 

Questo volume di nuova pubblicazione, a cura di Mattucci e Recchia Luciani, documenta gli esiti di una giornata di studi dedicata alla contemporaneità del pensiero di Günther Anders e ha carattere corale e interdisciplinare.

Due, in particolare, sono i pregi di questa raccolta. Il primo elemento di grande interesse è costituito dal fatto che questo volume presenta contributi di molti studiosi, non solo filosofi, che trattano dei più disparati aspetti della produzione andersiana, anche quelli poco analizzati convenzionalmente dalla letteratura critica. Aspetti indagati, inoltre, in un modo che riesce a rendere conto della densità delle riflessioni dell’autore, ma senza lasciare che quelle riflessioni, le diverse declinazioni del suo filosofare – che a prima vista sembrano minute e forse troppo specifiche – risultino come delle distrazioni dalla rotta principale, come dei divertissements, delle pause rispetto allo zoccolo duro della sua filosofia. Questi studi danno conto delle interconnessioni, in Anders, tra filosofia della tecnica, filosofia dell’arte, impegno politico e antropologia in modo che la lettura risulti interessante anche ai non specialisti.

Tra i contributi al volume, quello di Micaela Latini, Rovesciare i propri occhi. Estetica e politica in Günther Anders e John Heartfield, si occupa del saggio andersiano pubblicato in Uomo senza mondo sull’artista John Heartfield ed è un buon esempio di questa interconnessione. Heartfield (pseudonimo di Helmut Herzfeld) è stato uno tra i più importanti artisti tedeschi del Novecento, famoso per l’uso della tecnica del fotomontaggio, una tecnica apprezzata da Anders perché riesce a uscire dalla logica vero-falso e dalla funzione mimetica dell’arte e si confronta con l’irrappresentabilità del soggetto artistico. La totalità non si può dare nelle immagini fotografiche, che resteranno sempre solo frammenti, ma nella loro deformazione, esagerazione, montaggio, che diventano pratiche non più riproduttive, ma produttive, di un oltre di senso che resterebbe altrimenti invisibile. “Per amore di verità il fotomontaggio deve falsificare” (p. 26-27), “Il fotomontaggio artistico è in grado di dilatare lo spazio ottico, e di colmare così lo iato tra il vedere e il sentire”. Il saggio di Latini, rende quindi ben evidente il passaggio dalla critica dell’arte al cuore della filosofia andersiana che si serve dell’iperbole, della deformazione, del camuffamento, della miniaturizzazione, del montaggio di frammenti per esasperare la realtà e rendere visibile l’invisibile, e che propone l’uso dell’immaginazione per colmare lo iato tra il produrre e il percepire.

Proprio sul processo di miniaturizzazione si concentra il contributo di Francesca R. Recchia Luciani, Maxima moralia. L’antropologia liminale di Günther Anders per l’etica contemporanea dopo Auschwitz e Hiroshima. Questo saggio chiarisce la portata filosofica di un testo andersiano, breve ma molto denso: Dopo Holocaust (1979) in cui Anders procede ad un commento della serie televisiva Holocaust. Trasmessa nella Repubblica Federale Tedesca molti anni dopo la fine della guerra, questa serie tv permette di mettere a fuoco il rapporto tra finzione e personalizzazione. “Personalizzare la storia, effettivamente, non è che un modo per accorciare le distanze rispetto alla sua concretezza” (p. 118). In questo caso il prodotto finzionale della serie tv produce da una parte una de-individualizzazione e un isolamento dell’individuo che diventa spettatore, dall’altra però, una re-individualizzazione delle vittime e dei carnefici (che assumono corpo sullo schermo e non rimangono più solo numeri) e raccoglie la comunità intorno alla sua storia, generando quell’orrore di cui la mostruosità dei fatti e la loro sovraliminalità, avevano impedito il sorgere.

Ad analizzare il legame tra verità e menzogna nella produzione andersiana, anche il saggio di Natascia Mattucci, Quale politica per Günther Anders? La libertà nell’era dell’immaginazione, che ne sottolinea appunto il risvolto politico. La dialettica tra uomo e mondo viene messa a tema da Anders già nelle prime opere, risalenti agli anni ’30, in cui però l’estraneità dell’uomo dal mondo ha ancora un portato anche positivo. La tensione si esaspera invece nelle opere degli anni successivi, che registrano come quella frattura ontologica originaria venga acuita e contemporaneamente nascosta dal mondo dei prodotti in cui viviamo e in cui è sempre più complicato trovare veri spazi di libertà per l’azione politica: “se il mondo si trasforma in unico e globale ambiente domestico, il rischio è che ogni cosa appaia ugualmente vicina, ugualmente interessante o indifferente in un inabitabile nunc che produce dispersione e schizofrenia trasformando l’individuo in divisum, in una scomposizione di funzioni plurali”(p. 60).

Al tema delle immagini e dei media è dedicato anche Anders e la bomba mediatica, di Andrea Rondini. In questo caso però i mass media sono definiti responsabili dell’instaurazione di un totalitarismo morbido, cioè di un controllo nella società di massa che mantiene alcune caratteristiche dei regimi totalitari. Il testo preso in esame è in particolare la parte seconda del primo volume de L’uomo è antiquato: Il mondo come fantasma e come matrice, in cui Anders analizza il ruolo della televisione come produttrice di fantasmi e responsabile dell’iconomania imperante nella società di massa. Il recupero della critica che Umberto Eco muove ad Anders nella prefazione di Apocalittici e integrati, permette a Rondini di sottolineare i non pochi punti di contatto tra i due e di proporre una rilettura dell’influenza del filosofo tedesco sulla cultura contemporanea.

Seconda nota caratterizzante questa raccolta di saggi ed elemento di valore è la tessitura di trame inedite o poco trattate e la creazione di dialoghi inconsueti tra Anders e numerose figure chiave della cultura internazionale. In particolare con autori non appartenenti alla tradizione filosofica. Non ci sono limiti disciplinari con Anders e questo lavoro lo dimostra.

Il contributo di Maria Pia Paternò, Tra politica e psicanalisi: Günther Anders e il racconto della mancanza, ad esempio, individua un filo rosso che lega Anders alla psicoanalisi moderna. Anders, figlio del famosissimo psicologo William Stern, conosceva bene le teorie di Freud e aveva personalmente conosciuto Lacan a Parigi. In particolare, attribuiva a Freud il merito di aver scoperto ed elaborato il trauma della nascita. Una formulazione che non era molto distante da ciò che Anders stesso nelle sue analisi antropologiche chiamerà shock della individuazione, cioè quella mancanza di fondamento dell’umano che costituisce il punto d’avvio della sua libertà. Tuttavia questa mancanza costitutiva, che sembrerebbe molto più vicina alla mancanza-a-essere formulata da Lacan, viene declinata da Anders non solo come mancanza ontologica ma anche come mancanza di tipo sociale: mancanza di paura, di immaginazione, di limite, mancanza di mancanza. Merito del contributo di Paternò è quello di sottolineare come tali diagnosi, nonostante tutto, non siano limitanti, ma conducano ad un ben più profondo ripensamento proprio dei limiti dell’io, che li ribalti in forze ammonitrici e propulsive.

In ultimo, il contributo di Antonio Tricomi, Apocalisse, variazioni sul tema, propone una carrellata di autori della letteratura novecentesca che, come Anders, hanno variamente interpretato il tema dell’Apocalisse. Interessante qui è il fatto che Tricomi non citi soltanto autori di fantascienza, come si potrebbe immaginare, e riesca a non limitare la trattazione apocalittica alla distopia. Gli autori presi in esame, da Guido Morselli a Primo Levi, da Goffredo Parise a Pier Paolo Pasolini, costituiscono un importante cornice all’interno della quale Tricomi colloca l’analisi del contributo andersiano, in particolare citando i due volumi de L’uomo è antiquato. Pur notando i punti di contatto tra tutte queste diagnosi, l’autore rintraccia nel discorso andersiano un carattere fondamentalmente problematico: “quello di sancire, per eccesso di radicalismo diagnostico, una impasse teorica logicamente insuperabile” (p. 166). Seguendo cioè all’estremo il ragionamento andersiano – che vede l’apocalisse come esito di una trasformazione ontologica di uomo e mondo – ogni opposizione politica viene negata ed è concesso solo limitarsi a giudizi di ordine morale.

Come si è visto, in questa raccolta di studi, Anders è presentato in un modo che non solo testimonia la vastità dei suoi interessi ma che dimostra anche quanto la sua filosofia sia ancora un’ottima interlocutrice alla luce di interrogativi contemporanei.

Gli autori, inoltre, riescono a muoversi in profondità, perpendicolarmente, rispetto alla porzione andersiana scelta e trattata, e in parallelo, rispetto alle altre piccole e grandi sezioni della produzione dell’autore, rintracciando in tal modo i fili, le connessioni e la rete all’interno della quale ogni frammento trova posto singolarmente, ma risulta incomprensibile nel suo spessore se non riferito al tutto.