Connotazione reazionaria dell’individualità e caratterizzazione totalitaria della massa.

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Oswald Spengler


La cultura dell’individuo viene introiettata nel complesso delle strutture sociali e costituisce il livello e la forma della civiltà di esse. Ma se e come questa cultura venga recepita nelle organizzazioni sociali questo dipende dal tipo di società presente.

Se cerchiamo di analizzare il tema del rapporto in cui si pongono l’individuo e la società dobbiamo forse riferirci alle riflessioni di Oswald Spengler e al suo lavoro Il tramonto dell’occidente, che tanta eco ha avuto negli anni seguenti la prima guerra mondiale e la repubblica di Weimar, alle soglie del nazismo, fra il 1918 e il 1922, in cui esce la seconda parte della sua opera.

Spengler studia la cultura – diversamente da quanto detto – come un organismo chiuso nel suo orizzonte, che, nella maturità, esaurito il momento creativo, è una effettiva totalità biologica al suo termine, che tramonta in una forma di cristallizzazione di miti e ritualità incomunicabili: è generalizzante nella sua morfologia, mentre solo nella sua originaria manifestazione storica è ancora del tutto individualizzante.

La ciclicità di questo organismo bio-culturale ha in sé tutti i momenti della sua costruzione, tutti gli atti, informi ancora, di una storia primitiva, che va morendo riducendosi alla rigida civilizzazione, prima di tornare eventualmente alla condizione primitiva di un nuovo ciclo. Questa visione del nesso individuo-cultura fa che l’individuo non abbia altro ruolo, se non quello di concorrere a tale esito, provvisorio, sebbene - per altro verso - finale, che toglie all’individuo, invece, ogni finalità storica e sociale. La cultura assume forme plurali e incomunicabili di miti, simboli e riti, in cui l’individuo affoga e scompare entro una società, la cui struttura però non è che folla e massa.

Le opere dello storico tedesco George L. Mosse1 mostrano come soltanto una ricomposizione - quella operata da Hitler - della pluralità informe di atti individuali abbia prodotto la nascita di un Terzo Reich ed il nazismo. Oggetto della ricerca di questo storico sono “[…] individui a tal punto prigionieri di un’ideologia da perdere di vista le leggi della civiltà e … la maggioranza della nazione tedesca fu vittima di questo autoinganno”2.

Le spinte irrazionali ed emozionali nazional-patriottiche che attraversavano la Germania delle guerre di liberazione antinapoleoniche (1813-14), fino al conseguimento dell’unità tedesca (1871), sono l’opera di soggetti romantici, alla ricerca di una identificazione che trascendesse la loro individualità. In breve, il concetto fra mistico e naturalistico dell’humus sociale (il Volk) rimase in piedi nell’orizzonte culturale fino alla sua ricomposizione e all’assorbimento nelle categorie di una nuova politica centrata sulla funzionalità del partito e sulla sua organizzazione di massa. Come mostra lo storico Mosse, occorse appropriarsi e fare buon uso dei miti, dei simboli e dei riti dei tanti movimenti nazional-patriottici esistenti e conservare i culti di una liturgia che si faceva politica nei nuovi culti delle adunate, dove le parole avevano importanza minore della messa in scena delle cerimonie stesse: fu necessario trasformare le folle in masse, organizzarle, controllando nel contempo il loro potere potenziale, nazionalizzandone il senso, “colmando il vuoto lasciato dalle religioni tradizionali”3 e riconducendo il processo politico a meccanismi che annullavano l’individuo. Insomma, come è stato detto, non furono le dimensioni delle masse portatrici dell’ideologia [a portare alle conclusioni volute da Hitler], ma le istituzioni che se ne lasciarono infettare4.

Quando compare, fra la seconda metà del ‘600 e il XVIII secolo, il pietismo e poi, con la rivoluzione francese, l’attività creatrice dell’individuo nel campo della politica, subito si presenta l’antitesi tra l’aspetto soggettivo del fenomeno, la creatività dell’individuo, e la funzione che il fenomeno generato assume, una volta assunto dalle masse e rivolto alla nazione, alla sua struttura socio-politica: l’individuo perde la sua singolarità di fronte all’importanza della massa e della politica. Persino quella che Mosse chiama l’estetica della politica - nel nuovo slancio portato dal pietismo patriottico in Germania, che rimette in luce la teoria del bello di Winckelmann come religione laica – vede il nuovo insieme di intuizioni e di comportamenti assorbire la creatività del singolo individuo: l’arte greca a cui guarda Winckelmann non raffigura la bellezza dell’uomo, ma quella dell’umanità intera;5 e così la simbologia dello spessore politico dell’eternità viene messa in luce dal valore iconico della piramide, portato dall’arte di Piranesi; il momento e lo stile romantico-individuale è piegato allo stile monumentale, alla sua sintonia con l’esteriorità della grandeur voluta dalle masse6: l’arte e la religione, il bello e il sacro, dallo spazio interiore dell’individuo, si aprono, si dilatano ad uno spazio che trascende la sua singolarità7; già l’oggettività architettonica della colonna e la forma dell’obelisco – che si concretizza nel raggio del sole – hanno avuto per scopo questa dilatazione trascendente8; perfino la stessa imitazione può non essere che adozione di una spiritualità mistica che, pur provenendo dall’individuo, lo trascende nel diminuirlo, cioè minimizzandolo9. Così è stato per gli “spazi sacri” attorno ai monumenti nazionali, di grande importanza nelle feste politiche. Anche la ricerca di forme e stili capaci di raffigurare il dramma politico dell’autocoscienza nazionale (p. es. lo stile neoclassico ed il rifiuto del barocco) e in sostanza la convinzione che la massa possa avere una forza che oltrepassa l’individualismo e il suo isolamento10 sono aspetti che soggiacciono a questa alternativa di fondo fin qui evidenziata fra l’individuo e la massa.

Ma tornando a Le origini culturali ecc., cit., si può osservare anche il rovesciamento del senso nel precedente percorso: la solitudine dell’individuo trova il sostegno vero, psicologico e politico, nella massa e nella sua struttura politica; Mosse sottolinea il collegamento dell’individuo con l’humus sociale (il Volk) in un comune sentimento di appartenenza: e che questo è un’entità nazionale particolare, in cui l’uomo singolo può fondersi, recuperando in questo atto di appartenenza comune e di intermediazione il proprio io creativo individuale11. In questo percorso di approfondimento spirituale, la spinta religiosa non deve essere ostacolata da ortodossie teologiche: tutta la storia, sostiene Mosse, è espressione di tale spirito religioso, ma non più individuale e mistico, derivante piuttosto dal carattere del suo humus sociale12; in esso, anzi, molti vedevano l’unica struttura politica in grado di rendere possibile anche l’uguaglianza accanto alla libertà13; altri, invece, ritenevano che, se la libertà si può raggiungere ponendo le radici del movimento in quell’humus naturale e sociale, mai avrebbe potuto trovare l’uguaglianza in esso: la creazione di un’anima collettiva era possibile solo nelle pratiche dell’immersione nella natura e nella tradizione14: quell’humus, solo nella rinuncia implicita all’individualità e alla personalità, poteva realizzare l’unione con il suo soggetto creatore nell’immersione e nella dissoluzione del suo gruppo15. Ma, di fatto, solo l’organizzazione politica del partito è stata capace di trascendere i movimentismi nazional-patriottici e gli individualismi avversi alla politica di massa16. Hitler in Mein Kampf ha dichiarato che senza il partito politico sarebbe stato privo di significato lo stesso humus sociale, anche se invece nel 1936 Carl Gustav Jung poteva sostenere che l’umanità aveva compreso che qualcosa di interno all’uomo (la sua singolarità) potesse essere vero, pur sostenendo che “anche la più irrazionale delle religioni, se vuole risultare efficace, deve esprimersi in forme esteriori” (cioè politiche)17.

George L. MosseSi può dire, insomma, che l’individuo creatore – nella sua singolarità e solitudine, immerso e disperso entro una folla informe, che viene sempre a cristallizzarsi in massa organica e organizzata, – cerchi (speranzoso e con gratitudine) quell’appoggio, quell’ancora di salvezza, che lo porta senz’altra via d’uscita a delegare la sua creazione nella cultura da lui stesso generata: cultura che, se lo sottrae alla disperazione, in quello stesso percorso – trascendendolo – lo diminuisce, anziché salvarne quella creatrice libertà, che ha creato la sua struttura esterna; l’originaria libertà si spegne in piatta ripetizione, in routine, in uniforme uguaglianza: e l’ideale di uguaglianza che rimane dal suo appiattimento, quando intriso ancora di libertà, cade nell’utopia; l’individuo che si slancia verso l’altro individuo, volendo trascenderne la folla e organizzarla con una ossatura permanente - non più folla, ma massa – viene con ciò e perciò minimizzato, perdendone l’originalità nella routine: la società, la sua più alta e complessa creazione, lo annulla entro schemi di libertà – spenta in vuota uguaglianza – che, a loro volta (nella inevitabile finitezza storica), si trasformano in un mito, in utopia di uguaglianza.

La storia della Germania di ieri mostra e insegna quello che è stato ed ha significato il suo percorso involutivo di stanca ripetizione d’una individuale creazione di cultura omologata nella lunga tradizione, nella spirale di individualismo-patriottismo-nazionalismo-conservazione e infine dittatura della conservazione, appiattita insomma in humus rinforzato come società nazionalizzata e standardizzata in partito-nazione. L’individuo, inglobato dalla massa, non può fare che ricreare cultura di massa in società di massa, invece di lasciar libere le istanze capaci di innovarla: cultura di massa, che spinge in basso l’uguaglianza pur implicita, fino al gradino zero del cliché, senza più mito interno capace di rottura utopica.

L’esempio che è stato portato – il percorso storico della Germania – non è che il percorso di ogni individuo di fronte alla sua storia, ai suoi riti, ai suoi miti e simboli; ma è anche il percorso seguito dalla massa, dal popolo, attraverso le sue istituzioni.

Lo storico Giancarlo Gaeta, a proposito di Simone Weil,18 sottolinea non solo la denuncia di S. Weil della trasformazione della Russia da stato operaio in dittatura burocratica e nazionalistica, ma anche la sua convinzione che – nell’emergere di una nuova forma di oppressione esercitata in nome della nascente funzione burocratica (a livello mondiale e indipendente dalle modalità dei diversi regimi politici e tale che esclude ogni elemento di alterità o di disfunzionalità, quale che sia) – nascesse una convergenza oppressiva capitalistico-socialista,che richiedeva la necessità, per una democrazia e quindi per il socialismo, di una subordinazione della società all’individuo, di un’inversione del rapporto individuo-massa e di una centralità di altri valori (libertà, uguaglianza, verità, bellezza) nel cuore dello Stato.

In questa strutturazione del problema centrale, anzi costitutivo dell’individuo, di fronte alla sua libertà, creatrice essenzialmente – tra le innumerevoli possibili forme – delle sue modalità di società e di comunità politica: in questa ossatura, che (scarnificando i fatti, anzi prescindendo da essi) abbiamo desunto da una grande, importante interpretazione storica della Germania contemporanea, ci si trova di fronte alla polarizzazione alternativa, sulla quale dover mediare e scegliere – in base all’esperienza degli storici individui che si sono opposti alle invasioni napoleoniche ma non sono stati in grado di opporsi alla nascita di una destra nazista e antisemitica –: scegliere quelle forme di società (della sua massa), capaci di sussumere liberamente la cultura che dal singolo individuo le viene offerta, cioè quelle modalità della libertà che consentano di renderla ovunque asintoticamente uguale, pur conservando – nel processo della trasformazione e della socializzazione delle masse – la creatività individuale.

 

 

Note con rimando automatico al testo

1 The Crisis of German Ideology (1964), Le origini culturali del Terzo Reich (Il Saggiatore, Milano 2015) e The Nationalization of the Masses. Political Symbolism and Mass Movements in Germany from the Napoleonic Wars through the Third Reich (1974), La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933) (Il Mulino, Bologna, 1975).

2 Le origini culturali, cit., p. 19.

3 R. De Felice, Introduzione all’edizione italiana di La nazionalizzazione, cit., p. 16.

4 Le origini culturali, cit., p. 20.

5 La nazionalizzazione, cit., p. 52. Di Winckelmann, Considerazioni sull’imitazione delle opere greche in pittura e scultura (1754), opera considerata il manifesto del neoclassicismo, e Storia dell’arte nell’antichità (1764), che disegna per la prima volta la storia di uno stile usando le categorie estetiche.

6 Ivi, p. 71.

7 Ivi, p. 86.

8 Ivi, p. 87.

9 Ivi, p. 95.

10 Ivi, p. 109.

11 Le origini culturali, cit., p. 25.

12 Ivi, p. 48.

13 Ivi, p. 65.

14 Ivi, p. 221.

15 Ivi, p. 344 e 364.

16 Ivi, p. 151 e 166.

17 Ivi, p. 394 e 395.

18 S. Weil, Sulla Germania autoritaria, Adelphi 1999 (Ėcrits historiques et politiques, Gallimard 1960), con appendice di G. Gaeta, La rivoluzione impossibile e lo spettro del totalitarismo (pp.283-313).