Eugenio Borgna, L’arcobaleno sul ruscello. Figure della speranza

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Eugenio Borgna

L’arcobaleno sul ruscello

Figure della speranza

 

 

 

Milano, Raffaello Cortina Editore, 2018

pp. 130, isbn 9788860309709, € 11,00

 

 

 

 

 

Ne L’arcobaleno sul ruscello. Figure della speranza, Eugenio Borgna riprende, con sagacia e perspicacia, la trama delle investigazioni che da anni va compiendo nella costellazione delle emozioni, un campo privilegiato di conoscenza per il trattamento psicopatologico e psichiatrico, ma un terreno difficile per la conoscenza filosofica, a motivo della dissimmetria strutturale tra ordine della ragione e disordine delle passioni. Da Platone a Spinoza a Hume, la filosofia ha conseguito significativi successi ermeneutici, capaci di sondarne intensità e forza. Le emozioni «dicono quello che avviene in noi» (p. 17), sono un universo sconfinato, come la sfera della nostra interiorità, indispensabili per relazionarci con gli altri, nell’ascolto del significato interiore delle parole. Il tema della speranza si inoltra nei territori sconfinati, negli «abissi» dell’interiorità (p. 20), ci permette di essere muniti di introspezione nel nostro animo e di immedesimazione nell’altrui interiorità (cfr. p. 44), orientati a superare la dimensione dell’immanenza dell’io, di una «ghiacciata razionalità» (p. 13) per accedere a radicali e comuni esperienze di vita, cifrate spesso dal linguaggio del corpo, dalle sue manifestazioni nel volto (cfr. pp. 23-25), attraverso la «comprensione emozionale» (p. 25).

L’approccio di Borgna si avvale dell’esperienza clinica e delle cognizioni scientifiche della psichiatria, delle conoscenze tratte da casi clinici, ma, respingendo ogni ingenuo riduzionismo, le contamina con le cifre di testi poetici e letterari (Etty Hillesum, Leopardi, Musil, Trakl, Ungaretti), con le intuizioni filosofiche e le categorie del pensiero esistenziale (Agostino, Kierkegaard, Marcel, Guardini, Husserl) e le scritture dei grandi mistici (S. Giovanni della Croce, S. Teresa d’Avila, S. Teresa di Lisieux), che «ancoravano la loro vita alla speranza» (p. 94) ed erano rivelatrici della trama nascosta della speranza cristiana. L’angoscia, ben distinta dall’ansia (cfr. p. 96) è la notte oscura dell’anima, che insiste sulle aree sconfinate dell’interiorità, la cui ricerca è comune alla psichiatria, alla filosofia e alla letteratura (cfr. p. 123). Si può conoscerla, per Borgna, soltanto attraverso «i sentieri dell’intuizione e della conoscenza emozionale» (p. 94) e attraverso il linguaggio poetico e autobiografico-esperienziale del cammino ascetico, l’unico adatto a nominare un’esperienza psichica e corporea «complessa e stratificata», che non ha sempre valenza patologica, perché «accresce la nostra percezione delle cose» (p. 99).

La metodologia dell’Autore si allontana dai canoni della psichiatria e, grazie all’impianto fenomenologico, è conquistata dalla “passione delle differenze”. Le ambivalenze dell’ansia e dell’angoscia e i loro confini fluidi e fluttuanti richiedono un’analisi semantica che interroghi, oltre la psichiatria, la poesia di Rilke e Ungaretti, la filosofia di Kierkegaard e la «semantica del corpo vivente» (p. 103). Borgna non defeziona dal ruolo di medico e dal compito della cura, in cui è di radicale importanza l’intersoggettività (cfr. p. 119) e la comunità di cura (cfr. p. 120), che diventa comunità di cura e di destino, idea-forza in psichiatria e nella vita sociale (cfr. pp. 75 e 118). Ma non abbandona quasi mai il codice partecipativo elegiaco e melanconico e anche un certo tono enfatico ed edificante. Così non esclude che possa esistere anche un’angoscia creatrice, quella della poesia di Leopardi, Trakl, Ungaretti. La struttura dell’angoscia poetica, esistenziale, patologica, mistica è, certo, intessuta di sofferenza, con profonde radici psicologiche e biologiche, ma è anche in rapporto con la speranza, «alla quale non si può sfuggire», perché è «un arcobaleno che non manca mai di rinascere» (p. 109). Malgrado la notte oscura dell’anima, i tormenti dell’angoscia, bisogna imparare a sperare, a costituire la speranza come nostro principio etico che ci consenta di accedere, nell’ascolto e nel rapporto con l’altro, all’orizzonte di senso della vita e del morire. È l’orizzonte di una psichiatria fenomenologico-esistenziale, secondo l’indirizzo minkowskiano e binswangeriano prescelto da Borgna, attenta alla sofferenza, alla lacerazione e alle possibilità di rinascita dell’altro, pagando però il prezzo di una apertura di credito alla metafisica dell’interiorità e della trascendenza (cfr. le pp. 11, 19, 76).

Tra le emozioni umane la speranza riveste un ruolo particolare, soprattutto in psichiatria, perché è connessa alla nozione di cura e di esperienza umana della conoscenza di sé. La speranza non è l’attesa, né l’angoscia, ma ha una diversa fondazione esistenziale in quanto esperienza umana ineludibile e onnipresente e «ponte che si innalza al di sopra di ogni situazione» (p. 37, in riferimento a María Zambrano). Ci fa uscire dalla solitudine, è creatrice e rivelatrice, indistruttibile (Kafka), all’interno di un orizzonte etico trascendente (cfr. p. 40) e, con San Paolo, cristiano (cfr. pp. 40-41). Il linguaggio del testo, pagina dopo pagina, diventa sempre più edificante, teologizzante ed emozionale: così, ad esempio, il perdono (che include anche il perdono di se stessi) è possibile in senso umano e cristiano soltanto grazie alla speranza, che non imprigiona nel passato, apre al futuro, anzi è «memoria del futuro» ed è resa possibile soltanto dalla «grazia della fede» (p. 56). Queste parole “forti” guidano le considerazioni dell’Autore nel percorso di avvicinamento della psichiatria alla dimensione esistenziale dei soggetti umani che versano in condizioni di sofferenza e afflizione. Così le parole e i gesti possono testimoniare gentilezza d’animo e misericordia, consolare e alleviare il dolore insieme all’ascolto, che avvia un cammino di immedesimazione nell’interiorità dell’altro che soffre della disperazione e della solitudine. Il medico diventa colui che compie opere di misericordia spirituale, riaccendendo la speranza (cfr. p. 65), che in psichiatria è la guarigione, ma è anche la solidarietà e la comunione con chi soffre nel corpo e nell’anima (cfr. p. 67). La speranza diventa, con Walter Benjamin, un dovere e una fonte della cura in psichiatria, sulla linea dell’indirizzo fenomenologico di Eugène Minkowski (cfr. pp. 110 sgg.). 

La speranza è l’anima di ogni cura che, in psichiatria, intenda far riemergere dalla vita interiore dei pazienti le fragili risorse nascoste che attendono di essere riportate alla luce del senso (p. 115). 

Essa rende possibile la pratica di una psichiatria sociale (cfr. p. 120) che ha come luogo di cura la comunità terapeutica, nella sottolineatura della radicale importanza dell’intersoggettività «dell’entrare in relazione con l’universo dei segni e dei silenzi che sgorgano dall’altro mondo della follia» (p. 119), oltre i confini del nostro io «come ascolto dell’infinito che è in noi» (p. 76). Così le notti oscure dell’anima diventano prove di sofferenza (cfr. p. 71), la malinconia, la tristezza e il male oscuro della depressione costituiscono un fondo oscuro che può generare consapevolezza e conoscenza.

La malinconia ha un volto duplice, buono e cattivo, e una trama semantica complessa, che Borgna cerca di dipanare con l’aiuto di Guardini, di Rilke e di Kierkegaard (cfr. pp. 79 sgg.), cogliendone possibilità di trasformazione, nell’aprire alla speranza che si nutre del futuro (cfr. p. 83). Persino le sue espressioni di dolore, sofferenza, straniamento, senso di colpa (cfr. pp. 84-87) possono sciogliersi nel rifiorire della speranza (cfr. pp. 90-91). L’intero percorso del testo disegna un tracciato che si nutre di meditazione, di sapienza, di incursioni nell’interiorità, di preoccupazioni etiche, di partecipazione alla sofferenza dell’altro.