Lucio Saviani, Mani. La più antica delle invenzioni

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Lucio Saviani 

Mani. La più antica delle invenzioni

 

 

Fefè editore, Roma 2017, €.10, pp. 115,

ISBN978-88-95988-94-8

 

 

 

In Dillinger è morto diretto da Marco Ferreri nel 1969, un film irriverente e grandioso, c’è una sequenza bellissima: tra i filmini amatoriali che Michel Piccoli guarda durante la notte ce n’è uno di Maria Perego, (l’inventrice di Topo Gigio), un gioco con le mani, un gioioso e creativo balletto, una danza magica e leggera che è l’interfaccia del gestire e del muoversi del protagonista a contatto con la dimensione del tempo tramite lo spazio del gioco (come i filmini delle vacanze, una corrida, talune immagini della moglie). O se spostiamo lo sguardo su un celebre dipinto del Verrocchio, Tobiolo e l’Angelo, qui la postura delle mani conferisce uno stato di grazia ai due protagonisti che camminano l’uno accanto all’altro sullo sfondo di un paesaggio collinare. Le mani possono mimare non solo i movimenti della psiche o del pensiero ma unire il cielo e la terra come due sfere convergenti.

dal film "Dillinger è morto"

Molteplici sono gli impieghi delle mani: dalla gestualità alla comunicazione, dalla costruzione di utensili e manufatti all’atto di afferrare il cibo o l’essere amato. Da quando cinquantamila anni fa gli ominidi abbandonarono la posizione quadrupede e assunsero la posizione eretta, l’uomo è diventato il più intelligente di tutti gli animali, come suggeriva il vecchio Anassagora di Clazomene o come racconta Giordano Bruno: gli dei hanno donato all’uomo l’intelletto e le mani, così l’uomo si è spinto oltre la natura, creando manufatti e oggetti artificiali. Anche Hannah Arendt in un celebre passo di Vita activa rilancia la distinzione bruniano-lockiana tra il lavoro del nostro corpo e l’opera delle nostre mani che strutturano le prime due modalità della condizione umana, il lavoro e l’opera.

Mani, la più antica delle invenzioni è il titolo di un volumetto agile e grazioso (Fefè Editore, Roma 2017, €10) che esplora questo tema antichissimo per comprendere la natura dell’uomo, l’insieme dei suoi processi evolutivi e il carattere della sua produzione che è il lavoro. Lucio Saviani che ne è l’Autore e anche direttore di collana dedicata interamente alle varie parti del corpo lavora con undici variazioni intervallate da disegni, incisioni e quadri, ad un’ideale scultura delle mani attingendo a fonti letterarie, filosofiche, artistiche e segnalando squarci teorici di notevole interesse. Lo spunto è la visita al Museo delle miniature su una collina praghese: qui camminando accanto ai tavoli accostati alle pareti si possono vedere «una carovana di cammelli nella cruna di un ago, un treno su un capello, Cechov ritratto su un seme di papavero, due automobili su una zampa di una zanzara […] un ritratto di Puŝkin su un chicco di riso e un Pater Noster in inglese scritto su un capello» (p.9). Dalle opere in miniature alle opere miniate dei copisti e degli amanuensi il lettore è condotto nella biblioteca contigua al Museo per scoprire in pieno Medioevo la nascita del libro per opera della mano. Poi Saviani vira verso l’antropologia e la filosofia delineando una sorta di genealogia della mano accostando autori antichi e moderni, (Aristotele e Bruno, Canetti e Gehlen, Focillon e Valèry, Heidegger e Derrida). Già Platone aveva raccontato nel Protagora come gli uomini avendo ricevuto in dono da Prometeo il fuoco cominciassero «da quel momento in poi a fondere, modellare, riscaldare, illuminare, cuocere, incendiare […] Con il lavoro delle mani riuscirà a volare tra le nuvole e poi a scendere fin nel cuore della terra» (pp.38-39).

L’elemento distintivo dell’azione performativa delle mani risulta, dunque, il progetto, la capacità di trasformazione «di qualsivoglia stato di cose da lui incontrato nella natura» (p.39). La mano è azione, afferra, crea, affina la qualità del pensiero. Il toccare con mano permette di percepire meglio il rapporto tra l’uomo e il mondo. Lo notava, ricorda Saviani, Merleau-Ponty in una pagina della Fenomenologia della percezione, analizzando il fenomeno della mano toccata che diventa mano toccante (p.65). Come nella migliore tradizione teorica di osservanza aristotelica, la manualità è un momento non disgiunto dall’intelletto ma anche il perno più profondo dell’esperienza artistica. In tale direzione, Saviani dedica alcune pagine molto incisive al saggio di Henri Focillon, Elogio della mano, pubblicato nel 1939, in appendice al suo Vita delle forme. «A fondamento di un’opera d’arte, per Focillon c’è il saper fare di una ‘mano pensante’, una mano che non è la servetta docile del pensiero; essa cerca, s’ingegna per lui, attraversa ogni sorta d’avventura, tenta la propria fortuna’» (p.47). Nel nome del fare, mano e strumento dell’artista costituiscono un’unica entità. L’uomo, prendendo in mano qualche scarto del mondo, ha potuto così inventarne uno tutto suo, facendo germogliare il processo creativo all’interno della tecnica.

Se la mano pensante è fonte d’intelligenza, sarà Paul Valèry, grande amico di Focillon a tematizzare la natura pensosa della manualità e a stringere il nesso tra manualità ed intelligenza. «Come in risposta all’opera(oeuvre), Valèry parlerà di manovra (manoeuvre), un intraducibile gioco tra opera, manodopera, manovra e opera della mano» (p.51). Non è possibile separare la testa dalla mano: questo pensa Valèry, questa è anche la straordinaria intuizione di Simone Weil durante la sua formativa e traumatizzante esperienza di lavoro in fabbrica.

La riflessione novecentesca sulla questione della mano trova spazio in Che cosa significa pensare? che è il titolo di un corso che Heidegger tiene nel 51'-’52 e a cui Derrida dedica una conferenza a Chicago nel 1985, La mano di Heidegger. La mano - scrive Heidegger - non soltanto afferra e prende, non soltanto prende e urta. La mano porge e riceve, e non soltanto le cose, ma anche porge se stessa e riceve se stessa nell'altra mano. La mano trattiene. La mano regge. Ogni opera della mano poggia sul pensiero. Per questa ragione il pensiero è la più semplice e quindi la più difficile, delle opere della mano dell'uomo. Saviani commenta che «porgere è differente dal prendere: implica un prendere e un offrire, porgersi vuol dire mostrarsi e anche prestare attenzione (porgere orecchio)» (pp.59-60). La lettura heideggeriana della mano si intreccia con la riflessione sul linguaggio. Come la mano prega, raccoglie e dona, così il linguaggio. Mano e linguaggio dicono e fanno la stessa cosa. Saviani segnala al lettore il luogo dove ci vuole condurre la lettura di Derrida nel senso che la mano heideggeriana non si lascia determinare come organo prensile e poco a che fare con l’elemento sensibile o con una parte organica del nostro corpo. Se la mano di Heidegger corrisponde alla mano dell'Essere, prima che alla mano dell'uomo soggetto della tecnica, la mano di Derrida palpita nella dicotomia donare/prendere, nell’esperienza del toccare come forma di essere al mondo.

Saviani tesse e ritesse questo mosaico per rapide e folgoranti incursioni anche pittoriche che lasciano al lettore libertà di manovra nel seguire tracce ed indizi tra scritture e disegni che avanzano e si distendono in più direzioni. Aggiunge maestosi tocchi di mano che lasciano intravvedere i misteriosi luoghi di confine tra interno ed esterno, tra uomo e mondo. Chiude il volume un poemetto, Impronte di lettura della mano, di Pasquale Panella, il poeta e paroliere che il grande pubblico conosce per il suo sodalizio artistico dell’ultimo Battisti: E sul suo dorso/tutta la terra è sul suo dorso/da sotto/O a palma in basso/tutto il mondo è in mano (p.107).