ottobre 2017

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Mercoledì 25 ottobre 2017 dalle 20:30 il cinema Teatro Astra di Napoli ospita la proiezione di La Corazzata Potemkin (1925) - regia di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn. La particolarità dell'evento in questione sta nella colonna sonora di Edison Studio in collaborazione con Vincenzo Core (2017) che vede come performers: live electronics - Luigi Ceccarelli, Fabio Cifariello Ciardi, Alessandro Cipriani; chitarra elettrica – Vincenzo Core; contrabbasso – Giacomo Piermatti. Infatti, con il supporto della Società Italiana Autori ed Editori per il progetto ”SIAE – classici di oggi” e della Fondazione Cineteca di Bologna, a distanza di più di 90 anni dalla sua prima proiezione il collettivo di compositori di Edison Studio reinterpreta le immagini della Corazzata Potëmkin attraverso una colonna sonora in cui musiche, voci e suoni d’ambiente svelano le atmosfere, i sensi e i ritmi segreti del capolavoro di Ejzenštejn.

 

Introduzione alla Storia del cinema

«Uscito da una rivoluzione vittoriosa, ma subito inserito in un contesto di miseria e di arretratezza diffuse e nel quadro di una politica culturale gestita dal partito unico del proletariato, il partito comunista (bolscevico), PC(b)R, il cinema sovietico degli anni Venti rappresenta in ogni modo un motivo di grande sviluppo, sia sotto il profilo filmico, sia sotto il profilo teorico. Negli anni Venti la politica culturale abbastanza illuminata di Lunacarskij consente lo sviluppo di una ampia sperimentazione, ovviamente interna alla rivoluzione comunista. Nei primi anni Venti infatti la parola d'ordine dominante è l'Ottobre delle arti, ossia la realizzazione nel campo del lavoro intellettuale e della produzione artistica di un processo omogeneo e correlato alla rivoluzione d'Ottobre. L'Ottobre delle arti implica non solo una trasformazione radicale dell'arte, ma anche un cambiamento nella struttura del lavoro intellettuale e nella funzione dell'artista.»1

«La formazione di alcuni registi nel teatro - tra cui Ejzenštejn - come registi o come scenografi porta nel cinema la ricchezza e la varietà di un'esperienza spettacolare realizzata a diretto contatto con il nuovo pubblico di operai, proletari e soldati legati alla rivoluzione.»2

«Ejzenštejn diventa il punto di riferimento di tutte le teorie dell'innovazione artistica.»3

«Ejzenštejn rappresenta insieme il vertice del cinema sovietico e l'esperienza di più complessa affermazione della teoria del cinema e dell'arte rivoluzionaria.»4

«Ejzenštejn sviluppa un potenziale teorico e critico di prim'ordine dapprima nelle teorie del cinema rivoluzionario degli anni Venti, bilanciate tra l'orizzonte dell'estetica e quello della poetica, e le più articolate riflessioni degli anni Trenta e Quaranta, in cui, tuttavia, i dogmi stalinisti limitavano le possibilità della teoria. Gli scritti degli anni Venti intrecciano riflessioni sulla struttura del cinema e del suo sistema significante con affermazioni anche apodittiche sulle possibilità di un'arte rivoluzionaria. Per Ejzenštejn l'Ottobre del cinema implica una pratica formale ispirata al punto di vista della fabbrica e del proletariato e capace di cancellare la tradizione artistica borghese. Per Ejzenštejn l'arte non è una emanazione dello spirito ma una pratica sociale determinata, un rapporto sociale, capace di organizzare e veicolare stimoli, emozioni, idee e modi di pensare e di influenzare politicamente (ideologicamente) il pubblico. Contro il cine-occhio di Vertov, Ejzenštejn afferma il cine-pugno e considera con una certa brutalità l'opera d'arte innanzitutto: “un trattore che ara a fondo la psiche dello spettatore in una data direzione classista” e la regia come “l'organizzazione dello spettatore attraverso un materiale organizzato”.»5

«La teoria del cinema e la teoria dello spettatore si incontrano.»6

«In questa direzione Ejzenštejn attribuisce una importanza fondamentale al montaggio. Il montaggio è il momento essenziale della creazione filmica in quanto consente la trasformazione dinamica dei materiali in coerenti strutture comunicative ed espressive.»7

 

L’officina di Ejzenštejn, dai disegni ai film

«Il fatto è che Ejzenštejn sfugge a ogni incasellamento e i suoi film - come anche i suoi disegni e i suoi scritti - per poco che li si studi con un minimo di attenzione, aprono continuamente nuove prospettive ermeneutiche nelle più diverse direzioni, dalla semiologia alla psicoanalisi, dalla ideologia alla politica, dalla teoria del cinema e più in generale dell'arte alla storia contemporanea. Sono una vera e propria miniera di dati, informazioni, spunti, riflessioni, e soprattutto segni e simboli d'una concezione e rappresentazione della realtà, con cui occorre fare i conti se si vuole comprendere un periodo della nostra storia recente, tra le due guerre, di cui il cinema è stato testimone primario. Un cinema, tra l'altro, quello di Ejzenštejn che si è fatto protagonista della storia, incidendo profondamente sulle stesse strutture della conoscenza storica e della sua interpretazione critica.»8

«Certamente il primo carattere del suo cinema, che si impose in stretta connessione con i suoi primi scritti teorici e quel poco che ci rimane della sua esperienza teatrale, attraverso i disegni, i ricordi, le testimonianze e gli articoli, è quello rivoluzionario, nel più ampio significato del termine. [...] La carica spettacolare della corazzata potemkin nel senso d'una straordinaria tensione drammaturgica basata su un attento studio delle varie componenti dell'inquadratura e del montaggio, è nota e riconosciuta; accanto alla poesia, cioè alla creazione d'un nuovo universo formale, ciò che quel film sempre trasmise, e ancor oggi trasmette, è la concreta realizzazione di un teorema simbolico, la visualizzazione e la dinamizzazione d'una idea di cinema che travalica i confini del fatto rappresentato per porsi come modello. E poiché questo modello filmico è strettamente connesso con il contenuto esplicito dell'opera, e la sua struttura formale è costruita su quella che possiamo definire la struttura storico-sociale e ideologico-politica della vicenda, la novità dell'una si indentifica con quella dell'altra, sicché le inquadrature e le sequenze del film diventano segni e simboli di quella realtà, rivoluzionaria nella stessa misura in cui lo è La Corazzata Potemkin.»9

«Se nel mio campo di attività sono stato utile alla mia epoca, questo è dovuto al fatto che la mia individualità è stata determinata. Mi sono dimenticato di aggiungere che, durante l'infanzia, sono stato molto ubbidiente. E questo fatto non ha potuto che trasformarsi, in seguito, nell'adulto quale sono diventato in totale insubordinazione. Di qui, la mia irriverenza nei confronti di tutto ciò che era adulto si è rivelata utilissima all'autodeterminazione delle strade da seguire da parte del nostro cinema, a dispetto e in disprezzo delle tradizioni cinematografiche più vecchie (più adulte!) rispetto al nostro cinema sovietico. Ma il fatto che il nostro cinema sia originale, non è dovuto solo alla sua forma, ai suoi mezzi e ai suoi metodi. La forma, il mezzo, il metodo non sono altro che il risultato di una particolarità del nostro cinema. Il nostro cinema non è un processo di tregua, ma un'attività di lotta. Il nostro cinema è prima di tutto un'arma dal momento che si tratta di una lotta contro un'ideologia nemica; ed è, prima di tutto uno strumento, per quanto concerne la sua attività fondamentale: esercitare un'influenza sulle masse e rieducarle.»10

 

L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

«La tecnica di riproduzione, per esprimersi con una formula generale, stacca il riprodotto dall'ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, mette al posto della sua presenza unica, la sua presenza massiva. E permettendo alla riproduzione di venire incontro al ricettore nella sua specifica situazione, essa attualizza il riprodotto. Entrambi questi processi portano a un violento sconvolgimento del tramandato - a uno sconvolgimento della tradizione che è il rovescio dell'attuale crisi e dell'attuale rinnovamento dell'umanità. Essi stanno in strettissima connessione con i movimenti di massa dei giorni nostri. Il loro agente più potente è il film. Il suo significato sociale, anche nella sua forma più positiva, e proprio in essa, non è pensabile senza questo suo lato distruttivo, catartico: la liquidazione, nell'eredità culturale, del valore della tradizione. Questo fenomeno è massivamente evidente nei grandi film storici. Esso attira nel proprio dominio sempre nuove posizioni.»11

«Quando con la diffusione del primo mezzo di riproduzione effettivamente rivoluzionario ossia con la fotografia (in contemporanea con l'irruzione del socialismo), l'arte avvertì l'approssimarsi della crisi che dopo altri cento anni è divenuta inequivocabile, reagì con la dottrina dell'art pour l'art, che è una teologia dell'arte. Da essa è poi scaturita addirittura una teologia negativa, nella forma dell'idea di un'arte pure, che rifiuta non solo ogni funzione sociale, ma anche ogni determinazione attraverso un modello oggettivo. Rendere giustizia a queste connessioni è indispensabile per una riflessione che ha a che fare con l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Esse, infatti, preparano quella conoscenza che qui è decisiva: per la prima volta nella storia mondiale, la riproducibilità tecnica dell'opera d'arte emancipa quest'ultima dalla sua esistenza parassitaria nel rituale. L'opera d'arte riprodotta diviene, in misura sempre crescente, la riproduzione di un'opera d'arte destinata alla riproducibilità. Dalla lastra fotografica ad esempio è possibile una molteplicità di copie: non ha senso la questione circa la copia autentica. Ma nell'istante in cui nella produzione artistica viene meno il metro dell'auraticità, l'intera funzione sociale dell'arte si è capovolta. Al posto della sua fondazione sul rituale, deve subentrare la sua fondazione su di un'altra prassi: vale a dire, la sua fondazione sulla politica.»12

 

Conclusione

Il revival della storia attraverso il cinema anticipa le condizioni che vedono la produzione cinematografica stessa diventare un revival della storia, circostanza dovuta nuovamente alla riproposizione del rituale quale prassi regolativa della funzione sociale dell’arte.

Mentre l’intreccio tra calendario e stagione artistica rivolge lo sguardo al passato, il presente si sforza di riprodurre sé stesso perseguendo carsicamente l’estetizzazione della politica. La fondazione dell’arte sulla politica persiste invece come implicito principio di rivolta nell’abbandonare il momento per indagare l’attimo.

 

Note con rimando automatico al testo

1 Aa. Vv., Introduzione alla storia del cinema, a cura di Paolo Bertetto, Utet: Torino, 2012, p. 56.

2 Aa. Vv., Introduzione alla storia del cinema, p. 57.

3 Ivi, p. 58.

4 Ibidem.

5 Ivi, p. 59.

6 Ibidem.

7 Ivi, p. 60.

8 G. Rondolino¸ Introduzione al catalogo della mostra L’officina di Eisenstein: dai disegni ai film, Mole Antonelliana: Torino, 1981, p. VII.

9 G. Rondolino¸ Introduzione al catalogo della mostra L’officina di Eisenstein: dai disegni ai film, p. VIII.

10 S. Eisenstein, da Eisenstein su Eisenstein¸a cura di Pier-Marco De Santi in catalogo della mostra L’officina di Eisenstein: dai disegni ai film, p. 150.

11 W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Donzelli Editore: Roma, 2012, p. 50.

12 W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, p. 54.