Fluire

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Flusso

Fluire, muoversi, divenire altro da sé. Fließen in tedesco indica lo scorrere di un elemento fluido (molto vicino a fliegen, volare). Il verbo fließen equivale al francese couler (scorrere, fluire).Nei due stati liquido e gassoso della terra questi termini rimandano ad una transizione ontologica, al muoversi e divenire altro da sé o divenire in altro, cioè al divenire, una nozione comunemente associata, da Eraclito in poi, al cambiamento, movimento e trasformazione della natura. Il venire ad essere (generazione) e il transitare (scorrere) oltre il proprio essere (corruzione, morte). Nell’ambito della natura, cioè dei corpi intesi dal punto di vista dello spazio fisico, l’arco delle possibilità di transizione, intesa come cambiamento quantitativo e qualitativo risulta, nella dimensione della filosofia antica e moderna, abbastanza ristretto. Sino a quando il divenire (γενέσθαι) appartiene alla physis, tale limitazione di significato permane. Aristotele unifica la dottrina della sostanza nelle due scienze teoretiche della Filosofia prima e della Fisica e svolge la sua indagine sulla genesi delle sostanze, sul loro venire ad essere, generarsi e corrompersi, cessare di essere nel mondo vivente.

La spiegazione della struttura del divenire diventa il problema essenziale della filosofia. Aristotele tenta l’impresa.

Com’è noto, la categoria di Sostanza, soggetto di tutti i predicati, mantiene in Aristotele il suo primato sulle altre categorie1, che sono soltanto modi della sua espressione, della sua predicazione attraverso il linguaggio. Soltanto grazie a questo primato la metafisica può mantiene la garanzia ontologica dell’ingenerabilità della forma. L’essenza come forma, o l’atto, è, come in Platone, posta come premessa, precede l’essere in potenza della materia2 e rinuncia nella teoresi aristotelica soltanto ad una parte della sua sovranità. Si piega, si de-forma per assumere la specificità delle sue determinazioni3. La materia, pur subordinata alla forma o all’essenza preesistente, che assume la funzione di causa formale, conserva in sé il potere, nei processi di generazione spontanea in natura, cioè di produzione naturale, di costituirsi e venire ad essere, realizzarsi come sostanza, per effetto della sua potenzialità attiva. La potenza attiva dimostra dunque una virtù presente e operante nella materia che la nozione di privazione sembrava aver escluso.

Le cose naturali che si producono anche spontaneamente, nelle stesso modo delle cose prodotte dall’arte, sono quelle la cui materia può darsi anche da sé medesima quel movimento che imprime il seme”4

Con la potenza attiva in effetti si attribuisce il massimo del riconoscimento al potere di movimento della materia-sostrato, ma questo riconoscimento è soltanto l’inizio della riflessione intorno alla logica del divenire.

Nella produzione naturale, che sembra governarsi secondo un dinamismo sui generis, la forma è dunque interna alla materia-sostrato, in quanto l’organizzazione interna della materia orienta il processo sino al suo compimento e la forma risulta strettamente collegata alla materia.

In nessun caso, prima degli Stoici, malgrado questo massimo di apertura concesso da Aristotele al ruolo attivo della materia nel processo di cambiamento delle cose, si pone il problema del flusso come evento puro, che genera movimenti e significati fuori dell’ordine dell’essere, permanendo dentro l’”ordine” della sua molteplicità divergente, e fuori del tempo cronologico.

Le caratteristiche del flusso individuano l’evento. Il flusso trapassa, viene da un transito ed è sul punto di transitare. È appena successo e sta per succedere. È irriducibile all’accaduto e all’evento che si consideri limitato al presente, in quanto l’evento è un puro fluire, che non è né indeterminato, né preformato o predeterminato, né finalistico. L’unica certezza che possiamo trarre dall’evento è il suo transitare nell’incertezza di ciò che diventerà. Esso è qualitativo: un insieme di ecceità, di individuazioni molteplici.

Che cos’è un flusso, uno scorrere? Prima di tutto, è un processo. Soltanto nel Neoplatonismo questo proódos verrà posto a tema della scoperta del movimento dell’interiorità, cioè della dinamica del pensare o dello spirito. Lo stesso spirito è, nel neoplatonismo maturo di Proclo un procedimento, un processarsi di istanze, un procedere fuori5. Il dinamismo ontologico conduce alla scoperta della processualità dello spirito, del suo manifestarsi secondo una scansione triadica. Naturalmente nel neoplatonismo di Proclo questo processarsi dell’Uno è sovraordinato rispetto all’esperienza ordinaria del mondo e della materia sensibile dei corpi. Lo spirito (o l’intelligibile), come in Plotino, trascende la materia, che risulta nel suo movimento ontologico trascendentale, come un prodotto derivato e secondario. Si raggiunge però un punto fondamentale: il processo dall’Uno al Molteplice è interno alla partecipazione di tutte le cose all’Uno ed è mediata dalle enadi6. L’ontologia dinamica di Proclo affronta il problema del divenire in termini energetici e pone al centro della sua struttura quale elemento di mediazione molteplice la dialettica di continuo e discreto. Che vantaggio ne trae l’evento? Immerso in una continuità l’evento non la tradisce, ma, al tempo stesso, nella sua effettuazione o singolarità, sembra interromperla, pur restando all’interno del processo totale. In Proclo, potenziando l’apparato categoriale dell’ontologia plotiniana, le cose e i viventi risuonano, manifestandosi, nella stessa Sostanza che si è scopre nel suo tradursi in un processo di manifestazione, nell’accadere. Il paradigma vitalistico, declinato diversamente, opera sia nello Stoicismo che nel Neoplatonismo in direzione di una logica dell’evento, di una logica della potenza creatrice.

Nella storia della filosofia occidentale il pieno riconoscimento della natura infinita del divenire inizia soltanto con la concezione della durata reale bergsoniana, cioè del tempo percepito come indivisibile, non scomponibile in parti. La distinzione tra un dentro e un fuori diventa allora inefficace e inutile e con essa scompare la trascendenza delle istanze sovraordinate dell’ontologia realista. La mobilità assume il ruolo chiave nella nostra conoscenza, sia che si tratti dell’interiorità che delle cose esterne:

Il n'existe pas de choses faites, mais seulement des choses qui se font, pas d'états qui se maintiennent, mais seulement des états qui changent. Le repos n'est jamais qu'apparent, ou plutôt relatif. La conscience que nous avons de notre propre personne, dans son continuel écoulement, nous introduit à l'intérieur d'une réalité sur le modèle de laquelle nous devons nous représenter les autres. Toute réalité est donctendance, si l'on convient d'appeler tendance un changement de direction àl'état naissant”7


Se l’assunto di questa tesi, presente anche in pensatori con esso convergenti come Gentile, Whitehead, Deleuze
8 è vero, lo statuto della filosofia muta radicalmente. La filosofia non si occupa più di stabilire una gerarchia e un ordine tra gli enti, credendo così di rintracciarne l’origine e il fondamento, ma è chiamata ad assolvere il compito più importante: sperimentare, con il metodo più rigoroso, la ricchezza del mondo, lasciare che parlino le cose stesse, le loro tendenze. L’essenza si rivela in tal guisa nell’esistenza, cioè nel divenire della physis, in un modo peculiare. La potenza diventa principio di movimento e di canbiamento in quanto realizza il suo potere attivo di diventare altro da ciò che è, espressione della potenza della sua attività. Nel caso della potenzialità attiva aristotelica, come si è visto, l’attività, come capacità di causare, sembra non essere più una proprietà esclusiva della forma, ma un reale potere di trasformazione che appartiene alla materia e la privazione rappresenta non un limite, ma una sfida e una possibilità per lo sforzo che compie la materia. La potenza diventa così il principio della generazione e del cambiamento.9 Come afferma E. Severino “la privazione della forma è il non essere della forma. Ma la relazione tra il sostrato e la forma è la potenza del sostrato rispetto alla forma…il divenire è il passaggio dalla privazione alla forma, da parte di un sostrato, equivale a dire che il divenire è il passaggio dalla potenza all’atto”10.

Aristotele iscrive però il cambiamento (il divenire qualitativo, il divenire altro da sé) nell’ordine necessario dell’essere e dell’analogia degli enti, costituita sulla prevalenza della categoria di Sostanza (e della funzione di soggetto della sostanza individuale) rispetto alle altre categorie, perché ciò che è soggetto di predicazione non può venire predicato di altro. La plurivocità dell’essere, secondo la celebre proposizione del libro IV della Metafisica “l’essere si dice in molti modi”, esclude la sua univocità e riduce le generazioni, corruzioni, privazioni, qualità, cioè tutto ciò che produce o genera la sostanza al principio a cui si riferiscono o ineriscono, che è la sostanza. E’ certo comunque che Aristotele ha aperto la strada al riconoscimento della potenza attiva della materia, esplicito nella fisica stoica fondata sulla definizione del corporeo come materia, forma e tensione (τόνος) in relazione con le sue qualità e il suo modo di essere.11

La filosofia non può che considerarsi ormai l’esercizio o l’attività del vivente, coordinata dal pensiero, un’attività che deve sperimentare l’inevitabile e l’imprevisto dell’evento in un orizzonte cosmico, olistico, come geofilosofia.

Il problema del pensatore diventa allora soltanto quello di comprendere i flussi del divenire, di comprendere non soltanto come l’essere diviene ma che cos’è l’essere del divenire, l’evento, che si dà in un processo, fluisce e continua a fluire. In altri termini l’essere e gli stati o qualità delle cose che gli appartengono si riducono così al campo degli eventi, ai passaggi e ai transiti tra terra e territori. La matrice degli eventi, che non possono essere scambiati con le loro effettuazioni negli accadimenti, non è allora l’Uno, ma i flussi costituenti gli eventi. L’essere che diviene è l’Evento.

Il movimento si dà delle forme ma al tempo stesso disgrega le forme, si spoglia di esse: le immagini in movimento della durata non sopravvivono al fluire stesso della durata.

Entriamo in un’oscillazione, che procede attraverso una differenziazione crescente, tra Terra e territori. Entriamo ed usciamo. Dalla terra al territorio e dal territorio alla terra. La relazione tra esse non è di analogia ma di immanenza. Passare dalla Terra al territorio e dal territorio alla Terra, territorializzarsi e deterritorializzarsi, significa al tempo stesso divenire per alterazione-differenziazione e ritornare, un farsi multiplo e un risuonare. In termini bergsoniani chiameremo la visione dei flussi un problema di durata, di percezione che scioglie i contenuti misti e riesce ad intuire, discriminandole, le qualità nelle loro singole e specifiche intensità.

Volgere lo sguardo indietro, iscrivendo il cambiamento nell’ordine dell’essere e dell’analogia tra le proprietà dell’essere, significherebbe ritornare ad Aristotele, cioè al platonismo, ricondurre tutte le categorie alla categoria della sostanza-essere aggirando il problema del flusso come evento puro, fuori dall’ordine dell’essere immobile e del tempo cronologico. L’evento genera un movimento in quanto mobilità pura e produce un senso-contesto. E’ sua caratteristica il trapassare. L’evento proviene da un transito ed è sempre sul punto di transitare. E’appena successo e sta per succedere. Irriducibile all’accaduto o ad ogni “evento” limitato al presente, l’Evento è puro fluire, ma non è incondizionato, indeterminato, né preformato o affidato ad un disegno finalistico. L’unica certezza dell’evento è il suo transitare in un’apparente incertezza, ma esso è qualitativo, costituisce un insieme di ecceità, di individuazioni molteplici. La logica dell’evento scompagina la settorializzazione delle discipline e degli ambiti culturali.

 

L’interno della Terra

Così possiamo affermare che Cuore di tenebra di Joseph Conrad può diventare un piccolo gioiello di geofilosofia del XIX secolo. Charles Marlow è la voce, la coscienza critica dell’Europa, il suo complesso di colpa per i crimini del colonialismo. Mr. Kurtz è il personaggio intellettuale della necessaria fine dell’Europa, del suo tramonto e del passaggio ad una nuova territorializzazione, africana. Le influenze determinanti che agiscono sul territorio sono quelle del grande fiume Congo e dei suoi recessi, delle sue popolazioni, delle sue tenebre. Marlow deve riprendere Kurtz malato, prelevarlo dalla sua stazione interna, inoltrandosi nella profondità del paese africano e ricondurlo alla civiltà. Marlow deve salvare Kurtz e con esso, l’Europa. Kurtz è un ex-umanista, un ex-emissario del progresso. Ma la sua territorializzazione in terra africana è risultata molto diversa dal previsto. è entrata in profondità nelle viscere delle tenebre della foresta, della vita, dei culti degli indigeni, si è spogliata del mantello del tempo e ha raggiunto, nella convivenza con gli indigeni, i primordi del tempo. L’interno del Congo è diventato il cuore di tenebra di Kurtz, un cuore che è il risultato dell’influenza delle “potenze della tenebra”12.

Si appartiene ad una terra straniera, ci si estranea dalla propria cultura e dalla propria origine, ci si immerge nella tenebra di un territorio primordiale, in una “terra desolata” e ci si cala in profondità nel suo orrore. La terra del Congo, con i suoi sortilegi e il suo influsso hanno sedotto Kurtz, che è entrato a far parte dei suoi demoni, delle sue divinità, sino al punto di diventare oggetto di adorazione dei selvaggi13. Questa tenebra è un’atmosfera di sortilegio che invade tutto e conquista il cuore di Kurtz. La durata reale di Kurtz è ormai altra da quella dell’Europa, immersa in nuovi riti e nuovi orrori, che si consumano nella fitta tenebra dell’oscurità.

Il ventre tenebroso del Congo è diventato l’interno di una terra sospesa dal tempo, dai ritmi e dalle leggi ancestrali, che paralizza la mente di ogni occidentale che vi perviene. Risalire il fiume Congo, inoltrarsi nel suo interno sino alla stazione commerciale di Kurtz è, anche per Marlow, non solo metaforicamente, rientrare nelle viscere della terra madre. Si compie un rito di iniziazione e di passaggio ad una nuova esistenza, si fa ingresso in un’altra dimensione del rapporto tra i viventi, che apre l’accesso ai significati di un’altra esperienza.

L’esploratore, l’avventuriero, il navigatore, il mercante, il furfante, il funzionario di compagnie, l’uomo in fuga da sé stesso trovano qui il loro rifugio e il loro campo d’azione. L’Europa del colonialismo, la dominatrice dei territori extraeuropei vede in questa terra soltanto una barbarie da emendare e non riconosce che l’orrore non è iscritto in una determinata natura, ma è il prodotto dalla sua inconsapevolezza, dalla sua irrisolta essenza, della sua impotenza a riconoscere l’influenza della matrice antropica, e ancor più geologica, dei destini del mondo. L’Europa continua a non riconoscere la sua essenza fondamentale, il suo inalterabile dissidio interno e si ripropone come la parte buona dell’umanità, la parte più avanzata della storia, della libertà e delle ideologie che nascono dal suo grembo. I programmi filantropici di Mr. Kurtz denunciano questa menzogna fondamentale che l’Europa continua a raccontare a sé stessa. L’Europa colonizza l’esterno ma non ha operato la conquista del suo interno. Ogni emissario europeo viene considerato un pioniere, un “emissario della luce”. L’Europa è cieca e non riesce a vedere che ogni terra ha la sua luce e la sua influenza sui viventi.

Nella stessa trasformazione in corso le influenze iniziano una danza, che non è più “la danza allegra della morte e del commercio”14, ma può diventare una ridda mondiale, una festa ebbra degli spiriti. Come ha indicato Cacciari la dimensione autentica dell’Europa è la sua natura di tramonto ed essa può dimostrare così di realizzare il contraccolpo all’amore per la propria anima-identità. Il contraccolpo dell’Europa è il suo stesso tramonto: “L’Occidente compie davvero la sua storia soltanto quando pone a problema il proprio occidente. Così deve volersi l’Europa: occidente della sua storia.”15



Il fondo delle tenebre

I flussi sono passaggi, transiti, irrequieti come i flutti del mare. Il mare in genere ce lo rappresentiamo in maniera duplice: una superficie navigabile, al di sotto della quale c’è una profondità esplorabile, che assume un aspetto sempre più insidioso quando si trasforma in un fiume interno. Nella sua profondità il fiume è l’abisso dell’insondabile, il corridoio buio che apre ai recessi segreti. Nel risalire il corso del fiume l’insidia è nelle profondità e nel mondo circostante. Si debbono volgere le spalle alla superficie per accedere a questa dimensione sommersa. Bisogna, come Kurtz, “puntare verso profondità”16 e vivere nel silenzio e “completamente solo”17

Non è impresa semplice accedere al fondo della tenebra, nel cuore della fitta coltre di mistero che stringe la nera cortina del nostro destino. I flussi sono anche declinazioni degli influssi del territorio. L’aria di mistero e di orrore che avvolge i viaggiatori in Cuore di tenebre di J. Conrad è un miasma che prende alla gola coloro che vogliono ordinare, colonizzare, dominare una plaga che è anche un’ambiente, un’atmosfera e una scena di azione, una potenza di espressione.

La tenebra è misteriosa perché segna l’approssimazione alla fine, il punto di avvicinamento alla morte. Il cuore tenebroso vive nella solitudine estrema questo incontro. Nella fitta tenebra non sono possibili percezioni chiare e distinte né un orientamento ma soltanto la sensazione di essere catturati, dopo essere stati sedotti dalla sua selvaggia bellezza, da quell’aura di sfacelo, di pericolo fuori controllo, di paura, di sospensione. Qualcosa di primordiale si solleva dal fondo delle cose. Sentire l’influsso degli effluvi della foresta, patire un’azione indeterminata da parte di forze indefinite e incontrollabili genera terrore. La tenebra sgomenta perché rimanda al vuoto e al buio che è buio di parole, assenza di segni, sorgente di inquietudine.

L’influsso esercitato dal territorio da una parte rinvia al rapporto di causalità, alla relazione pericolosa fra la causa e l’effetto, dall’altra lo esclude, insieme a tutto il determinismo di cui è portatrice.

Il passaggio, nel momento del transito, del flusso, si consuma in una sospensione del tempo fattuale. L’influsso si presenta sotto forma di incantesimo che sospende il tempo, un evento che prolunga sé stesso e che è sotto l’incantesimo di altri eventi. In quel repentino sommuoversi della realtà, i contorni sfumano nell’indeterminato. L’aria di mistero pervade ogni cosa, penetra, si espande. Lo scopo del viaggio nel folto della foresta muta. Lo scopo è Mr. Kurtz, non più l’avorio, ma il mistero di Kurtz, un mistero che rimarrà tale. Il vero tema del racconto è il personaggio di Kurtz, la sua natura, i suoi tratti caratteriali, le sue imprese, le razzie di avorio presso le vicine tribù, l’ascendente straordinario che ha sulle popolazioni dei villaggi intorno al lago, cose incomprensibili senza conoscere il modo in cui Kurtz aveva scoperto il suo vero sé e raggiunto la propria autocoscienza. La terra selvaggia ha rivelato Kurtz a sé stesso, gli ha comunicato “cose sul suo conto che lui non conosceva”18 e che soltanto consigliandosi con “quella grande solitudine”, nella profondità del paese, era venuto a scoprire. Si crea intorno a Kurtz una leggenda nera. Kurtz compie azioni estreme, si macchia dell’orrore di esecuzioni, mediante decapitazione, di indigeni ribelli alla sua volontà. Ne esibisce in modo terrificante le teste mozzate, issate su pali intorno alla sua casa. Il fondo delle tenebre non è dunque l’Africa nera, ma il cuore di Kurtz, “la nuda tenebra del suo cuore”19. “La sua - riferisce Marlow - era una tenebra impenetrabile”, quella di un uomo “che giace in fondo ad un precipizio dove non splende mai il sole”20.

Il mal d’africa è un fenomeno conosciuto. Le emozioni suscitate dagli odori, dai sapori, dai piaceri, dalle azioni di una terra si insediano nell’animo lentamente ma inesorabilmente. Il desiderio perturbato dalla distanza o dalla distrazione genera l’attaccamento ad una terra, alle sue genti, alle sue immagini e ai suoi fantasmi.

E’ un’esperienza che cattura i viaggiatori, ma soprattutto i colonizzatori. Gli esploratori iniziano a conoscere l’interno di un territorio e sono catturati dalla smania di depredarne le ricchezze, i segreti, le risorse, le vite. Il colonialismo cerca di darsi lustro razionalizzandosi nella letteratura di avventura, il racconto di viaggi e di imprese che si compiono sulla superficie del corpo terrestre, un corpo pieno di aperture, di recessi, di oscuri meandri. Attraversando la pelle del mondo si continuano a narrare le storie degli uomini. Anche in questo genere si producono divisioni, ci sono polarità e coppie di opposti: Kipling è l’apologeta della civiltà bianca, Conrad colui che denuncia il saccheggio e la degradazione umana del Congo, quell’esperienza che conduce alla discesa agli inferi e all’orrore prodotto dallo sfruttamento coloniale.



Il respiro dell’Evento

I territori e la terra. L’uscire e l’entrare. L’evento. Quello che nella congiuntura attuale, connotata dalla minaccia dell’epidemia, sconcerta ed esercita un impatto nell’immaginario collettivo è l’imprevisto, l’imprevedibile, che suscita l’ansia per gli innumerevoli pericoli che vi si celano. Ma esso appartiene alla linea di manifestazione dell’Evento, che si effettua in una forma fredda negli accadimenti riferiti nei notiziari. Quale approccio adottare per governarne l’influenza? E’ stato giustamente rilevato che nei media l’Evento non si trova mai, perché, diversamente dai fatti, il suo flusso continua, esso è più della sua manifestazione. L’Evento ha uno spettro di virtualità che supera e oltrepassa la sua mera, singola fattualità. Si tratta di vedere in esso delle possibilità, delle virtualità ulteriori. La paralisi o il fallimento dell’azione del soggetto in tale congiuntura è spesso l’esito della fede ingenua negli accadimenti, l’incapacità di vederli come effettuazioni transitorie, puntuali, dell’Evento. L’influenza della filosofia e del suo insegnamento si esercita nel richiamo perenne alla saggezza dell’Evento, alla consapevolezza dell’incompletezza della realtà, alla necessità di un ordine ideale, che sia un nuovo regime dell’esperienza. Quando la filosofia entra in campo attraversa le configurazioni del presente e critica le opinioni dell’insensatezza. In quanto geofilosofia sa che un territorio non può essere pensato a partire da un metodo, come un oggetto di ricerca scientifica, ma soltanto sperimentato. La logica dell’evento è quella dell’esperienza, in una dimensione geofilosofica.

I tentativi della filosofia di catturare l’evento avranno sempre questo significato: bisogna istallarsi nell’evento e risalire alla sua origine. Un divenire in cui si diviene, non può essere descritto. La sua mappa non può essere compiuta, perché l’evento è il divenire altro, il divenire come differenziazione, un doppio divenire si rovescia in un divenire molteplice, in una continua biforcazione. Questo divenire-altro è il Concetto stesso. L’intreccio tra Ontologia e Logica o, se vogliamo essere coerenti, la loro identità, si fonda proprio in questo compenetrarsi degli stessi eterogenei nel corso del cambiamento in atto. L'evento, collocato all'interno della continuità del divenire, funziona come la piega provvisoria, la discontinuità, in cui si esprime la Voce dell'Essere.La piega deforma e condensa il piano. Incapsulato nel tempo cronologico, l'evento rompe questa scorza per comunicare con tutti gli altri eventi in cui risuona l'Essere. “L’univocità eleva, estrae l’essere per meglio distinguerlo da ciò cui giunge e da ciò di cui esso si dice”21

 

 

 

Note con rimando automatico al testo

1 Cfr. F. Trabattoni, La filosofia antica. Profilo storico-critico, Carocci, Roma, 2002 p. 116 sulla plurivocità dell’essere e pp. 121-122 sui principi del mutamento.

2 Cfr. F. Adorno, La filosofia antica, vol. II, Feltrinelli, Milano, 1987, pp.57-58.

3 Cfr. Aristotele, Metafisica, VII,9, 1034 b.

4 Aristotele, La Metafisica, Rusconi, Milano, 1992, p. 323.

5 F. Adorno, La filosofia antica, IV, Feltrinelli, Milano, 1992, pp. 400-402 e 406-7.

6 Cfr. Proclo, Elementi di Teologia, trad. di Michele Losacco, Carabba, Lanciano, 1917.

7 H. Bergson, La pensée et le mouvant, PUF, bibl. elettr., Cichoutimi, Quebec, 2003, p.116. La migliore opera che affronta il problema della durata è H.Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaello Cortina editore, Milano, 2002, p, 51 sgg.

8 G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, in Idem, L’attualismo, Bompiani, Milano, 2015; A. Whitehead, Processo e realtà. Saggio di cosmologia, Bompiani, Milano, 2019; G. Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi, Torino, 2004, cap. 6 ‘Che cos’è un evento?’ e Id. Logica del senso, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 133-137 e pp. 151-157.

9 Aristotele, Metafisica, ed. cit., IX, 1, 1046a, pp.378-379 e cfr. Id., op.cit., V,12,1019°-1019b, pp.241-245.

10 E. Severino, La filosofia antica, Rizzoli, Milano, 1984, p.130.

11 La materia è tenuta insieme da una forza interna (pneuma) e ogni vivente ha in sé il principio della sua attività. Il τόνος presuppone che materia e forza siano inseparabili. V. su questo punto G.Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, Milano, 2009, p.145-150 e pp.133-137. Fondamentale riferimento per la fisica stoica è E. Brehier, La theorie des incorporels dans l’ancien stoicisme, Vrin, Paris, 1928 per il quale la logica si occupa soltanto degli incorporei, non più della sostanza (pp.60-61) e cf. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, vol. 1, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp.129-30 sul sostrato individuale, la qualità e il modo di essere della sostanza nel monismo stoico e sulla stessa realtà delle cose come espressioni della sostanza originaria (ivi, p. 134).

12 J. Conrad, Cuore di Tenebra, RCS, Milano, 2002, p.93.

13 J. Conrad, op. cit., pp.93 e 118.

14 J. Conrad, op. cit., p, 34.

15 M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano, 1994, p.157.

16 J. Conrad, Cuore di tenebra, p.64

17 Op.cit., p.65.

18 Op.cit., p.108.

19 Op.cit. p.125.

20 Cit. p.127.

21 G. Deleuze, Logica del senso, ed. cit., p.160.