Enrique Dussel, Metafore teologiche di Marx

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Enrique Dussel

 

Metafore teologiche di Marx

 

 

traduzione dallo spagnolo e cura
di Antonino Infranca,

Inschibboleth Edizioni, Roma 2018,
pp. 360, € 28, 
ISBN-10: 8885716466
ISBN-13: 978-8885716469

 

 

 

 

 

 

1. Metafore che “hanno una logica”.

Arricchito da una puntuale Introduzione di Antonino Infranca, curatore di questa edizione italiana e tra i maggiori esperti del pensiero di Dussel, Metafore teologiche di Marx offre al lettore le acquisizioni più interessanti a cui l’Autore è pervenuto grazie al suo pluriennale confronto con Marx. Al pari di tutta la produzione di Dussel, anche queste acquisizioni hanno avuto ampia risonanza. E di esse questo libro rivendica non a torto l’attualità (pp. 53-4, 96), offrendo così anche una significativa conferma di quanto Infranca precisa nell’Introduzione: veramente non è un caso se Dussel “mentre scriveva i suoi quattro libri su Marx, lentamente abbandonava le sue posizioni vicine a quelle della Chiesa latinoamericana, passava vicino alla Teologia della Liberazione, per arrivare oggi su posizioni decisamente marxiste” (p. 31).

Per risparmiare al lettore l’equivoco forse più insidioso, giova richiamare subito un punto che lo stesso Autore tiene a precisare fin dalle Parole preliminari (pp. 33-50) e dal Prologo all’edizione italiana (pp. 51-63), che illustrano egregiamente la genesi, gli scopi e il “senso” di questo libro: il suo intento non è dimostrare “che Marx ed Engels fossero credenti” (p. 59). E neppure che Marx abbia avuto una qualche “intenzione di produrre una teologia formalmente esplicita” (p. 46). Al contrario: Dussel si propone di affrontare il problema che sorge proprio dopo aver riconosciuto, da un lato, che Marx “non fu nel senso stretto del termine un teologo” e, dall’altro, che proprio per questa ragione egli “aprì l’orizzonte per una nuova teologia” (ibidem).

Com’è noto, nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico Marx ha scritto che la “critica della teologia [si trasforma] nella critica della politica”. Con pari coerenza, rivendica Dussel, “si può aggiungere anche che la critica della teologia si trasforma nella critica della filosofia, dell’economia o della politica”. Metafore teologiche di Marx mira appunto a riprendere e portare a compimento la relazione stabilita dallo stesso Marx tra storia, filosofia, teologia e “pensiero critico”. E’ precisamente a una rivisitazione della relazione effettivamente esistente tra “queste tre epistemi” (storia, filosofia, teologia) che Dussel invita il lettore, ben sapendo quanto una simile rivisitazione possa suonare quasi scandaloso per “dei marxisti-leninisti tradizionali” e per “dei cristiani antimarxisti”. Nonché per antimarxisti “islamici, confuciani, taoisti, buddisti eccetera” (pp. 51-2).

Dussel tuttavia, da filosofo nutrito anche di buona cultura teologica, conosce bene il detto evangelico “necesse est ut veniant scandala” (Matteo, 18,7). E certamente non esita a far emergere alla luce del sole e con innegabile accuratezza filologica, lo snodo ‘scandaloso’ ma decisivo che costituisce il punto di partenza di tutta la sua analisi: l’impossibilità di tenere le problematiche teologiche fuori dall’orizzonte esistenziale e teorico di Marx. Più precisamente: la sua tesi è che delle questioni etiche, antropologiche e storiche sorte nella sua epoca, e in particolare nell’illuminismo e nell’idealismo tedeschi, Marx abbia proposto una soluzione che entra in rapporto anche con la dimensione teologica. Solo indagando questo rapporto si possono scoprire le “posizioni teologiche” presenti anche nel suo pensiero (p. 41). Si può scoprire insomma, come felicemente promette lo stesso titolo del libro, che anche l’Autore de Il capitale “fu, di fatto, un teologo implicito, frammentario, negativo, che sviluppò il suo discorso ‘metaforicamente’ e obliquamente, ma non per questo meno effettivamente e completamente” (p. 174). Le metafore utilizzate da Marx infatti -a cominciare ad esempio da quella di peccato originale, bestia apocalittica, divinità idolatrica, mammona, Anti-Cristo (pp. 175-225)- “hanno una logica” (p. 46). Non sono una mera esibizione di reminiscenze letterarie caoticamente affastellate. Anzi, non esita a suggerire Dussel: ci rivelano l’“inconscio religioso di Marx” (p. 50) e autorizzano a “parlare di una proto-teologia o di una teologia implicita” presente e operante nel suo laboratorio teorico (p. 46). Di più, autorizzano a concludere che Marx “aprì l’orizzonte per una nuova teologia” (ibidem), ossia –questo è il punto su cui a Dussel preme richiamare l’attenzione- per una teologia aperta e attenta alle posizioni critiche assunte dallo stesso Marx nei confronti del capitalismo.

 

2. Critica del feticismo: il capitale, l’Anti-Cristo e l’ateismo.

Chiarito dunque in che senso nell’orizzonte teorico-esistenziale di Marx rientrino anche le problematiche teologiche, resta da precisare il ruolo che, lungo tutta la sua opera, effettivamente svolgono le “metafore” religiose. E veramente non sorprende che questo ruolo venga ricostruito da Dussel innanzitutto mediante una puntuale disamina della critica marxiana del feticismo. A questo aspetto cruciale del pensiero di Marx è dedicata segnatamente tutta la prima parte del libro (pp. 65-171). E sembra francamente difficile non condividere i risultati a cui Dussel perviene mediante il suo autentico corpo a corpo con i problemi teorici ed etico-politici di fronte a cui si trova la coscienza etico-politica di ognuno di noi quando il rapporto tra persone e cose assume connotati feticistici, ossia subisce di fatto un “rovesciamento” valoriale: “la persona è presa come cosa, e la cosa come persona” (p. 77; 89, 95).

Ebbene, secondo Dussel proprio nella critica marxiana del feticismo vengono alla luce sia il compito assegnato da Marx alla “critica dell’economia politica” e sia i risultati di questa critica che anche i credenti devono saper valutare scrupolosamente (p. 55). Da Marx infatti i credenti sarebbero messi di fronte a un uso del Nuovo Testamento “sottile e competente”, nel senso che egli <<prende il denaro come il “rovesciamento” di Cristo, come l’Anti-Cristo>>. Più precisamente: alla luce della critica marxiana del feticismo, Cristo viene a essere una natura divina che aliena la propria potenza assumendo la figura di servo, e il denaro una realtà storico-sociale che da servo dei suoi creatori <<si trasforma in “dio” (il feticcio)>>. In breve: “Cristo si umiliò, si abbassò; il denaro sale, si divinizza” (p. 47). Detto con le parole del Curatore: “Dussel dimostra che la critica della teologia in Marx parte da una presa di posizione etica, che si arma della critica dell’economia politica, la conduce, la dirige, la informa e a sua volta se ne rafforza, perché dialetticamente la critica dell’economia politica dimostra che l’essere sociale viene negato nei suoi diritti umani per aumentare l’accumulazione del capitale” (p. 28).

Da qui, ossia da questa relazione tra “presa di posizione etica”, critica della teologia e critica dell’economia politica (ibidem), deriverebbe anche la fecondità della <<teologia “metaforica” di Marx>> (p. 46). Fino alla scelta di fronte a cui, secondo Dussel, questa fecondità non può non mettere proprio i credenti. Se infatti è vero che “il capitale è l’Anti-Cristo, il demonio visibile” (p. 45), proprio coloro che vogliono testimoniare un’autentica fede cristiana vengono a trovarsi di fronte a un’alternativa ineludibile: a dover scegliere tra il capitalismo e il cristianesimo. A dover abbandonare o l’uno o l’altro. Ed è precisamente nel far emergere una simile alternativa, conclude Dussel, che “Marx realizza, in senso stretto, una critica religiosa dell’economia politica, cioè scopre i meccanismi della dominazione del capitalismo come strutture feticistiche, demoniache, sataniche, idolatriche” (p. 170). Con conseguenze tutt’altro che marginali anche rispetto alla visione marxiana dell’ateismo.

A parere di Dussel infatti, lo stesso a-teismo di Marx viene a coincidere non tanto con la negazione polemica di un autentico sentimento religioso, bensì con la negazione dell’“ateismo degli idoli” già annunciata dai profeti di Israele e dal fondatore del cristianesimo (p. 171). E’ questo “dio” idolatrico –questo feticcio, appunto- che verrebbe negato sia dai profeti che dall’ateismo professato da Marx, che sarebbe appunto, come ribadisce anche Infranca, un “ateismo dal feticismo del denaro […] che può essere superato dall’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione” (p. 21). Al punto che proprio il socialismo verrebbe a coincidere non col superamento di ogni autentico sentimento religioso, bensì col “superamento pratico” di ogni religione idolatrica. E conseguentemente anche col superamento dello stesso bisogno di negare questa religione: a-teismo, appunto. Nonché, a fortiori, col superamento di ogni ateismo militante (pp. 89-90).

 

3. Teologia, critica marxiana del capitalismo e “sinistra onesta”.

La posizione definitiva” di Marx sulla questione dell’ateismo, secondo Dussel, è appunto questa che abbiamo appena richiamato (ibidem). Essa, concede l’Autore, può sembrare ben poco marxiana a quanti si fermano a una superficiale ricezione della celebre identificazione, avanzata dal giovane Marx, della religione con l’oppio del popolo. Non solo. Dussel si mostra ben consapevole di quanto la sua analisi dell’uso metaforico di temi biblici e teologici da parte di Marx obblighi “a una lettura attenta e obliqua” che presuppone una sorta di “doppia competenza: filosofico-economica e teologica”. E a parere di Dussel proprio una simile competenza non ci sarebbe “mai stata (né tra i marxisti, né tra gli antimarxisti)” (p. 47). Anche se a riguardo, sia concesso notare di sfuggita, proprio l’accurata analisi dusselliana dell’uso di metafore teologiche da parte di Marx fa riaffiorare alla mente –e forse non solo alla mia- una celebre e influente affermazione di quel Karl Löwith che lo stesso Dussel pure non manca di richiamare all’inizio di questo libro (p. 40). Almeno in parte -scriveva Löwith a proposito del rapporto tra il “fondamento ateistico del materialismo” e la “critica della religione” compresenti nell’elaborazione marxiana- lo stesso materialismo storico di Marx si configura come “una storia della salvezza espressa nel linguaggio dell’economia politica” (Löwith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, trad. it. di F. Tedeschi Negri, il Saggiatore, Milano 1989, pp. 62-7).

Ovviamente, in questa sede non è in discussione il rapporto tra questa analisi del profetismo operante nel pensiero marxiano (critica “scientifica” dell’economia politica, concezione della storia e ateismo inclusi), e l’identificazione di Marx con i profeti suggerita da Dussel (p. 296) sulla base della sua intepretazione “metaforica” dell’“inconscio religioso di Marx”. E ancor meno sono in discussione le ragioni che inducono Dussel a individuare come propri interlocutori principali autori quali W. Benjamin, E. Bloch, M. Buber, E. Levinas, fino a J. Taubes, K.O. Apel, J. Habermas e G. Agamben (pp. 63, 296-97; 329 sgg.). Nell’economia di questa recensione interessa piuttosto approfondire due punti su cui anche Dussel opportunamente non manca di richiamare la nostra attenzione.

Il primo punto coincide con la convinzione che tutte le critiche rivolte da Marx alla religione idolatrica “sono sommamente utili e operano in favore di una religione di liberazione (sia cristiana, sia musulmana, sia indù o buddista)” (p. 96). E’ un richiamo importante e condivisibile. Al pari dell’invito a non sottovalutare l’apprezzamento riservato dallo stesso <<Marx al cristianesimo primitivo, dove si trova la “porta aperta” verso la comprensione contemporanea nel Terzo Mondo di una religione di liberazione>> (p. 96). Certo: l’attualità di questo richiamo e di questo invito può suonare scandalosa per i “marxisti-leninisti tradizionali” e per i “cristiani antimarxisti” (pp. 51-2).Ma oggi più che mai –ossia in tempi che comunemente vengono definiti postsecolari perchè segnati da una sorta di rivincita di Dio- tutti dovremmo saper riscoprire e valutare correttamente l’importanza della religione come possibile elemento di contrasto delle logiche coloniali, mercantili, di bio-potere (si pensi all’ingegneria genetica) che condividono e incrementano la “necrofilia” essenziale all’odierno dominio del capitalismo (p. 47). E’ fuori dubbio insomma che anche una visione critica della teologia e una conseguente testimonianza della propria fede da parte dei credenti possano contribuire non poco alla “critica di altri campi pratici dell’esistenza umana (come la critica dell’economia, del sesso o del paternalismo, del razzismo, dell’eurocentrismo, ecc.)” (p. 53).

Infine il secondo punto, sul quale sicuramente saranno d’accordo sia l’Autore che il Curatore del libro. In queste pagine Dussel, pur non ponendosi “soggettivamente come il credente di una comunità religiosa (ma senza negarlo)”, sembra interloquire innanzitutto col “credente di sinistra, al quale –tiene a precisare- si rivolge tutta la mia opera” (p. 53). E si aspetta che questo suo interlocutore diventi consapevole “di un discorso storico-teologico” che, come quello marxiano, mette in discussione -anzi: tende a distruggere- ogni giustificazione religiosa e di destra del capitalismo (ibidem). Tuttavia, in Metafore teologiche di Marx Dussel non manca certo di rivolgersi anche a quella che felicemente definisce “la sinistra onesta” (pp. 61-2), confermando così quanto sia pertinente l’osservazione di Infranca, secondo cui per Dussel, man mano che scriveva i suoi libri su Marx, “la questione della fede diveniva una questione personale” e “la militanza ideologica diveniva sempre più forte e radicale” (p. 31).

Ebbene, il secondo punto che sembra opportuno richiamare in questa sede riguarda proprio il rapporto tra dimensione, in senso lato teologica, e “sinistra onesta”. Come risulta chiaramente da quanto scritto finora, non si tratta certo di sollevare riserve contro l’interlocuzione che Dussel si propone di intrattenere, diciamo così, con i suoi interlocutori privilegiati, ossia i credenti di sinistra. Si tratta piuttosto di non sottovalutare le implicazioni di un dato di fatto su cui tutti siamo d’accordo: la consapevolezza di vivere in società pluraliste e culturalmente sempre più meticce.Vale a dire, per venire subito al punto: in società nelle quali, da tempo e per non poche donne e non pochi uomini, “sinistra onesta” e “socialismo democratico”, quello che anche Dussel ricorda ai propri interlocutori (p. 297), non sono sinonimi né di anti-marxismo, né di marxismo-leninismo più o meno tradizionale, nè di ideologia marxista coniugata con fedi religiose, e ancor meno di posture polemicamente anti-religiose (ateismo militante). Al contrario: per queste cittadine e questi cittadini “sinistra onesta” e “socialismo democratico” sono sinonimi di criticità filosofica, rettitudine intellettuale e morale, libertà di coscienza, giustizia sociale, consapevolezza cosmopolitica, solidarietà samaritana, apertura al dialogo più leale, alto e costruttivo tra credenti e non-credenti. Nonchè alla concreta sollecitudine per la possibile felicità di ogni essere senziente e per la tutela dell’ambiente.

Queste, almeno a chi scrive, sembrano essere le virtù individuali e civili della sinistra più onesta e della laicità autentica. Virtù –questo è il punto- che possono ben avere il loro fondamento critico (filosofico ed etico-politico) anche in una sobria emancipazione da ogni fede religiosa e che indubbiamente educano anche a prendere posizione a favore dell’“etica materialistica fondata sulla vita” a cui ci richiama il Curatore di questo libro (p. 26), ossia a orientare la propria cittadinanza attiva in direzione di valori contrari a ogni esaltazione della volontà di potenza (p. 49) e favorevoli a ogni tipo di socialismo effettivamente democratico. Di più: sono le virtù che maggiormente possono educare sia a realizzare in concreto i valori solennemente proclamati e tutelati anche dalla nostra Costituzione (si pensi all’articolo 3); e sia a non indugiare in visioni del mondo, della storia e delle relazioni umane definite e praticate ancora “in forma negativa e polemica con gli a- privativi e gli anti- (anticlericalismo, ateismo, ecc.)”, come lucidamente ha precisato, tra gli altri, anche il nostro Gramsci (A. Gramsci, Quaderni del carcere, II, a cura di V. Gerratana, Einaudi 1975, p. 1509).

Certamente non mancheranno altre occasioni per approfondire ulteriormente le ragioni che possono motivare credenti e non-credenti a sentirsi parte di una sinistra onestamente impegnata a favore di una “presa di posizione etica” (p. 28) contro ogni relazione feticistica tra gli esseri umani (come magnificamente invita a fare proprio la nostra Costituzione). E ben sapendo che, se una tale presa di posizione deve essere etica, non basta richiamarsi alla dipendenza, più o meno deterministica, della coscienza umana (soprastruttura) dai rapporti sociali di produzione (struttura), come opportunamente precisa anche il curatore di questo libro (p. 28), in sintonia con Dussel e di fatto rimettendo in discussione una delle pretese più dibattute e influenti del materialismo storico (e più o meno ‘volgare’). Approfondire queste e altre ragioni di un’odierna “sinistra onesta” è il compito che tutti siamo chiamati ad assolvere. Ma intanto, verrebbe da chiedersi, non è anche –e forse soprattutto- grazie alle virtù personali e collettive appena richiamate che ognuno di noi può offrire un contributo significativo sia all’assolvimento di questo compito che alla costruzione di quel “pluriverso trans-moderno […], multiculturale, in dialogo critico interculturale” in cui lo stesso Dussel ci insegna a rinvenire la migliore “strategia di crescita liberatrice e di creatività di una rinnovata cultura non solo decolonizzata ma anche nuova”? (Dussel, Modernità e interculturalità. Per un superamento critico dell’eurocentrismo, ed. it. a cura di A. Infranca, Sciascia Editore, Caltanisetta-Roma 2012, p. 77).