Massimo Canevacci, La città polifonica

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Massimo Canevacci

La città polifonica

Saggio sull’antropologia della comunicazione urbana

Roma, Rogas Edizioni, 2018

pp. 348, ISBN 9788899700249, € 25,70

 

 

 

 

 

 

Immergersi in uno studio di antropologia spinge a pensare attraverso percorsi diversi da quelli tracciati abitualmente dai media che invadono la realtà globalizzata dei social network, dove Facebook ha la parte più importante nelle nostre felici e soddisfacenti manipolazioni del nostro bellissimo cellulare androidiano. Del resto nessuno di noi può distaccarsi dall’uso quotidiano del flusso di informazioni velocissime offerte dal nostro indispensabile telefonino.

Ho trascorso a San Paolo un periodo felice della mia vita per studi di ricerca di critica letteraria. Tuttavia ho avuto la sensazione di immergermi nell’Oceano infinito e di trovarmi in un Brasile diverso da quello che avevo conosciuto bene, dopo aver abitato per anni nel Sud Gaucho. Credo che siano due mondi diversi come due pianeti dell’universo illuminati dallo stesso sole tropicale, e felicemente bagnati dalla pioggia quasi quotidiana. Anche a San Paolo il sole e la pioggia si alternano come le culture diverse che convivono mescolate tra loro. Il libro di Massimo Canevacci che stiamo presentando mi ricorda la metropoli brasiliana che ho subito amato sin dal primo momento che la vidi, uscendo dall’aeroporto di Guarulhos. Il tassista che mi accompagnò nel quartiere Jardim Paulista disse: “Italiana! Aqui temos tudos. Não falta nada para nós Paulistanos: temos barulho, música, cores, chuva e sol no mesmo instante. Seja bem-vinda na nossa cidade! Tudo de bom para você”. Traduco: “Qui a San Paulo abbiamo tutto. Non manca nulla a noi Paulistani: abbiamo il rumore, la musica, i colori, la pioggia e il sole allo stesso tempo. Che tu sia benvenuta nella nostra città! Auguro tutto il bene possibile a te”. Figurarsi. Mi sentii ricca, con uno strano senso di benessere e chissà perché il cielo celeste e le poche nuvole bianche mi sembrarono altissime nel cielo paulista, al contrario del nostro cielo blu intenso romano, così vicino alla vista degli occhi con i nostri tramonti rossi infuocati che ci inglobano nel cuore della nostra bella Roma. A San Paolo invece ogni cosa sembra distante, ma la sensazione di essere parte di una immensa umanità variegata dà l’impressione che il mondo intero sia concentrato in un territorio di 1.521,110 km² con quasi 13 milioni di residenti registrati1, ma in realtà il numero delle persone è molto più alto: circa 20 milioni di loro vivono nei grandissimi quartieri di Osasco e Guarulhos, per citare solo due bairros tra quelli che appartengono a questa mega metropoli. La città ha accolto per secoli immigrati provenienti da tutti i Paesi del mondo, e lì, oltre alla presenza enorme di italiani, si incontrano cinesi, giapponesi, arabi musulmani e non, libanesi, tedeschi oriundi e inglesi residenti nell’esteso territorio di San Paolo.

La polifonia di una città fa pensare a una grande orchestra in cui ogni strumentista suona il suo strumento musicale in accordo con gli altri musicisti, e parafrasando Massimo Canevacci “il soggetto cosmopolita […] polifonico” fa parte di una immensa comunità multi-etnica, multi-lingue, dove il multi sembra immergersi armonicamente nella sconfinata marea umana che non ha confini. Molti Brasiliani pensano che questa città si sia sviluppata a dismisura senza un progetto ordinato, che fosse capace di controllare la velocissima crescita urbana.

Eppure San Paolo non finisce mai di sorprendere; ricordo un giorno pieno di sole, durante la primavera brasiliana di novembre, in una delle lunghe vie principali, l’Avenida Paulista, ho visto alcuni uomini agganciati alle pareti di un grattacielo che rispecchiavano il cielo. Pensai che fossero alcuni operatori ecologici che lucidavano le pareti di vetro dell’edificio agganciati con una corda di sicurezza, poi immaginai che fossero invece artisti della TV, magari condotti da un drone, considerando che in quel luogo sono concentrate le sedi dei principali canali televisivi brasiliani. Pensai fantasticamente che anche quelli fossero musicisti che eseguivano sinfonie, ma bisognava essere capaci di ascoltarli, oltreché osservarli. E allora era necessario lasciare che la fantasia e l’immaginazione iniziassero a navigare.

Il libro di Canevacci analizza invece l’incommensurabile struttura urbana, la comunità umana multi-etnica, il concetto di tecnologia moderna che, udite udite, si scontra, secondo il mio punto di vista, con lo stereotipo di esotismo tropicale che gli italiani amano tanto, continuando a pensare nelle loro fantasticherie e nelle loro immaginazioni irreali realtà umane e stili di vita completamente inesistenti in Brasile. Certo, per un verso, non è niente male creare uno stereotipo nell’immaginare San Paolo, o nel creare una fantastica visione del Brasile esotico tutto carnevale, purché sia una ricostruzione positiva e bella di quel Paese! In fondo, si tratta del carattere dell’italiano sognatore che ha comunque tutti i meriti e pregi, quando sa essere un poeta o un navigatore cibernautico di altri tempi, alla pari di un Cristoforo Colombo contemporaneo. Canevacci è invece un antropologo attento nelle sue analisi e il libro fa riflettere sui concetti principali che possono far capire il passato e il presente della metropoli che è sicuramente la seconda città più grande del mondo, come spiega l’autore.

Differenze e omogeneità a confronto, trasformazioni sono argomenti di riflessione nel saggio dedicato anche alla comunità paulistana. La conflittualità accentuata dai cambiamenti generazionali, ma soprattutto dalle trasformazioni urbane guida la nostra attenzione ai problemi vissuti da questa, come da molte altre città europee o come quelle del mitico e sognato nord America.

Va aggiunto anche che parlare di trasformazioni e comunicazione rapida nella contemporaneità significa anche concentrare l’attenzione sull’uomo, sul rapporto tra l’individuo e la città coinvolta nelle trasformazioni quotidiane, e non solo sulle comunità metropolitane osservate da un punto di vista esterno di coloro che ignorano che cosa sia veramente São Paulo do Brasil. A me sembra che la questione centrale proposta nel saggio non sia univoca, ma vuole esortarci a essere più attenti nella riflessione su varie tematiche, abbandonando quella superficialità di chi osserva dall’esterno, senza conoscere veramente la realtà effettiva delle comunità metropolitane contemporanee, dove regnano flussi di comunicazione tra luoghi virtuali e aree fisicamente esistenti.

La nostra lettura ci pone di fronte alcune questioni fondamentali che non hanno una rapida risposta, e certamente Massimo Canevacci propone i quesiti senza la presunzione di offrire una soluzione, ma ci pone di fronte alla complessità dei problemi che il cittadino vive quotidianamente. Rispetto alla complessità dei temi proposti, ritengo che il linguaggio utilizzato dall’autore sia semplice e lineare, mai riducibile a un compendio di ricerca antropologica dal carattere difficile e incomprensibile; e dunque la lettura scorre piacevolmente, senza dimenticare che l’autore sembra tracciare una linea trasversale della riflessione tra antropologia e sociologia applicata all’uomo, protagonista dell’era della velocità multi-mediale, con uno sguardo attento alla geografia umana.

E allora diciamolo: quanto è cambiata la metropoli nata da un piccolo insediamento dei missionari gesuiti, giunti in quei luoghi verso la metà del XVI secolo?

 

 

Nota al testo

1 Questi dati sono stati pubblicati dall’IBGE, dopo il censimento del 2010. L’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica svolge periodicamente indagini statistiche e geografiche in Brasile per gli studi cartografici e ambientali e soprattutto di geografia umana.

https://cidades.ibge.gov.br/brasil/sp/sao-paulo/panorama (ultima consultazione: 16 febbraio 2019).