Lucio Saviani, Monte Athos. Il cielo in terra

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Lucio Saviani

Monte Athos. Il cielo in terra

Esperienze della filosofia

 

 

Bologna, Luca Sossella editore, 2018

pp. 128, isbn9788897356851, € 20,00

 

 

 

 

 

 


Gli Athoniti nel silenzio vivono della preghiera, che è una domanda di verità. Il dinamismo degli accenti della preghiera ininterrotta prende sul serio l’invito paolino ai Tessalonicesi (5, 17: «Pregate incessantemente») e la preghiera del pubblicano nel Vangelo, nel solco di una lunga e solida tradizione di spiritualità, che affonda le sue radici nell’esicasmo della
Filocalia di Nikodemo Aghiorita, tradotta in russo e diffusa nel mondo slavo da Paisij Velikovski – di nuovo un Athonita, un atleta spirituale, come i Padri del deserto, cui la tradizione monastica orientale deve molto. Il libro di Lucio Saviani – che parla anche attraverso le immagini, intense e preziose, delle fotografie di Oliviero Olivieri e propone un saggio sul corso dedicato al Monte Athos nell’ultimo seminario di Roland Barthes al “Collège de France” – introduce alla maestosa ed esigente disciplina della preghiera esicastica e alla sua valenza filosofica, anzi metafisica. Mi riferisco al radicamento, che il libro conduce in modo articolato, in un’esperienza del divino come recisione dei mali (esichia) e viaggio nell’imperscrutabile, sempre accompagnati dalla filosofia e dal suo metodo critico. Non ci sarà cortocircuitazione tra filosofia e teologia quando esse siano intese come dimensioni del pensare (cfr. p. 19) e si cerchi nel pensiero greco, che, nella sua origine, è teologia («Il discorso della Physis, l’indagine fisiologica è, in quanto tale, teologia», p. 20), pensiero nel quale la filosofia, con Platone e Aristotele, si compie. La distinzione tra filosofia e teologia non è mai differenza: oltre gli dèi visibili vi è l’Unum sovraessenziale. Nella tradizione giudaico-cristiana, si rescinde il legame che «univa filosofia e teologia, fondato sulla possibilità dell’intelletto umano di attingere il divino» (p. 21). Nella tradizione orientale della Filocalia, invece, la relazione con Dio centrata sulla preghiera consente la costruzione di una teologia mistica. L’esicasmo, la disciplina di preghiera ininterrotta della tradizione dell’Oriente cristiano, riveste dunque un aspetto centrale in rapporto con le esperienze della filosofia greca, intesa, con Pierre Hadot, come modo di vivere e ascesi, il che esige una conversione di tutto l’essere e realizza nella concretezza dell’esistenza la vera filosofia: il cristianesimo filocalico, il cui cuore e luogo d’elezione è, appunto, il Monte Athos, “predestinato” e identificato con il monte della Manifestazione, il Tabor (cfr. p. 62), imparentato con tutti i santi monti in cui Dio abita “nei suoi santi”. Del Santo Monte l’Autore tratteggia con sintesi magistrale il cammino storico che trionfa nella testimonianza dei testi della Filocalia di Nikodemo Aghiorita (cfr. pp. 27-30). Quanto alla filosofia, essa procede senza la rivelazione e senza alcun presupposto, mentre l’esicasmo avvia ad un’esperienza profonda e diretta della verità. La stessa pensosità e ricerca ascetica della filosofia, però, con Jankélévitch, Pareyson e Florenskij, si presenta come «un’ascesi» (p. 25), una ricerca interminabile, che incrocia l’angosciosa certezza della fede. Si tratta, dunque, per l’Autore, di ritrovare la tensione tra il Quaggiù e l’Ulteriore (cfr. p. 26). Diciannove parole chiave o “Voci” illustrano e giustificano la necessità di questa esperienza estrema anche dal punto di vista filosofico, nei termini del dialogo tra ragione e fede. Saviani non si limita ad indicare le fonti filosofiche greche dell’esicasmo e le ragioni filosofiche contemporanee della sua validità, ma indica lo stesso viaggio al Sacro Monte come una pregnante esperienza filosofica, una presa di contatto con un punto in cui, all’interno della teologia mistica del cristianesimo ortodosso, che tanto deve a S. Dionigi Areopagita, l’Occidente e l’Oriente, il Cielo e la Terra si incontrano e intersecano le loro energie.

La filosofia, insomma, ha bisogno dell’Athos, almeno quanto la spiritualità ortodossa e la devozione di milioni di credenti. Come direbbe Henri Bergson, il misticismo qui “aggira l’ostacolo”, ma mira allo stesso obiettivo della filosofia: il contatto con il Divino, con l’Assoluto. Su questi punti il piano verticale e quello orizzontale si incontrano e sembrano trovare, in termini schellinghiani, un equilibrio. Attraverso Luigi Pareyson, Schelling ricorre spesso nelle definizioni di bellezza, verità e immagine proposte nel testo. Le Voci rimandano a parole-chiave dell’esperienza esicastica del Monte Athos della “preghiera di Gesù”: la solitudine come rapporto essenziale con l’alterità dell’altro uomo e dell’Uno-Cristo, in continuazione di una pratica già iniziata nella filosofia greca, il cuore come disposizione stabile alla preghiera e centro della vita spirituale, con felici incroci e in rapporto di continuità con la terminologia della filosofia greca (cuore, nous), presente come «il centro dell’uomo e, spesso, del divino» (p. 39), presente soprattutto nella Filocalia,la vita del monaco, in ritiro eremitico o nel monastero, istruita come una divina liturgia. L’Autore esamina con competenza la serie di termini che costituiscono la trama lessicale di questa esperienza di ascesi (cfr. ad es. p. 44), della morte come trapassare, andare oltre il limite e preparazione alla morte del corpo, al silenzio abissale della voce di Dio, cifra dell’ineffabile, nel gioco dell’amicizia tra uomo e Dio, nel cammino che si fa problema e metodo del mistico-viaggiatore, che cura se stesso con quella vigilanza del cuore che è anche conversione in senso platonico (cfr. p. 57), nella pratica dell’ospitalità in quanto riconoscimento dell’esser ospiti accolti dal mondo. Richiamando Jankélévitch, Derrida, Jabés, Heidegger, Gadamer, Fink, Nietzsche, conforta il suo percorso intorno all’Athos, la Santa Montagna, che nel corso del testo diventa metafora e cifra della stessa ricerca e conversione filosofica e una “realtà spirituale” e simbolica (p. 64). Il tracciato che segna la differenza tra Occidente e Oriente continua nella ricerca della filosofia come philia. Particolarmente importante appare la voce Bellezza, perché la teologia ortodossa o la via orientale al cristianesimo è la via della bellezza, o “erotica”, strettamente legata alla verità, come anticipato dal neoplatonismo plotiniano (cfr. pp. 76-77) e tematizzato in Dionigi Areopagita, ma già nello stesso Nuovo Testamento, in cui la santità si declina anche come bellezza. Nella pratica della preghiera del cuore del monaco, l’amore della bellezza si compie attraverso l’ascesi quotidiana. Gli strumenti ermeneutici che l’Autore usa nel settare il campo semantico dei termini della tradizione culturale iscritti nell’esperienza e nella dottrina dell’esicasmo trovano il loro pendant nella passione e nel sentimento che attraversano le pagine del libro e alimentano la ricerca dello spessore simbolico della verità, oltre il rigore e l’ordine del discorso. Così Saviani incontra la teoria iconologica di Pavel Florenskij, centrata sull’Incarnazione del Verbo come immagine del Padre nello Spirito Santo. «Il Cristo è l’immagine del Dio invisibile: per suo mezzo vediamo l’Invisibile […], l’uomo santo è immagine di Cristo e di Dio, nell’uomo santo si vede l’invisibile” (p. 82), attraverso l’esercizio della preghiera, che apre la finestra dell’icona sul cielo e frutta la salvezza dallo scorrere del tempo, il ritrovamento di un ordine che si realizza nella pratica ascetica di una filosofia completa, secondo Cristo. L’esercizio quotidiano della preghiera si nutre di quella «tensione verso l’unità attraverso la quale la filosofia deve “respirare” e poter attingere alla radice vissuta della conoscenza, come sua fonte “viva” e “vivente”» (p. 89) e si presenta nella chiave ontologica monistica del pensiero di Florenskij, in quella del “non so che” di Jankélévitch, come nella «verità» ermeneutica dell’origine «inesauribile» (p. 91) di Pareyson. L’Autore scommette sul silenzio che oltrepassa i silenzi e che si sente in una esperienza profonda:

La filosofia deve rendere il testo del mondo, il suo non-detto, esprimere il rapporto tra i significati delle cose e il silenzio stesso. Ipolessi, azzeramento delle certezze quotidiane e neutralizzazione dei significati già dati: la filosofia come desiderio, amore, mancanza, ascolto del silenzio, ricerca del senso (p. 96).

In conclusione il Monte Athos, la sua vita e la sua disciplina spirituale, costituiscono un’opera semiologica, che la filosofia richiama ed esplicita nei termini critici della sua lingua, in cui mistica e logica vanno a braccetto nella ricerca della verità.