Giuseppe D'Acunto, Il logos della carne.

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Giuseppe D'Acunto

 Il logos della carne.
Il linguaggio in Ortega Y Gasset e nella Zambrano

 

 

Cittadella editrice, Assisi 2016,
pp. 125, ISBN 9788830815131, €.11,90

 

 


Questo libro di Giuseppe D'Acunto su Ortega Y Gasset e Maria Zambrano ha l'indubbio merito di accostare due figure importanti della filosofia del Novecento, peraltro di opposizione alla dittatura franchista, che la storiografia soprattutto italiana tende spesso a trascurare. Ritenuto da Albert Camus, il più grande scrittore europeo, allievo di Miguel de Unamuno, Ortega ha influenzato non poche correnti del pensiero contemporaneo. L'angolo prospettico scelto da D'Acunto è il linguaggio e più precisamente
il logos della carne (per riprendere la bellissima e felice espressione che dà il titolo al volume) a supporto della concezione orteghiana della filosofia circostanziale. Da qui si evince la centralità del tema del linguaggio che consente al singolo uomo di orientarsi nel mondo "consegnato, essenzialmente, alla responsabilità di decidere" (p.10) e pienamente consapevole delle circostanze in cui si trova a vivere e ad operare. Il dire nasce sempre da una situazione concreta, caricandosi di esprimerla ma allo stesso tempo la sottintende e la presuppone (p.11).
D'Acunto sviluppa in una sequenza di lucide argomentazioni il sottile intreccio orteghiano di
presenza e di latenza del linguaggio fino alla esplicitazione di un'utopia del dire nel senso che il parlante non riesce a dire tutto quello che ha da dire. Fedele alla dottrina unamuniana dell'uomo concreto, dell'uomo in carne ed ossa, Ortega ritiene essenziale eliminare tutti i concetti immobili e iniziare a pensare con nozioni in continuo movimento. Dalle parole in movimento segue la naturale vocazione orteghiana a privilegiare la parola parlata rispetto alla parola scritta che ne è un mero surrogato. In tal senso, "ogni testo s'iscrive non soltanto in un contesto linguistico, ma anche, e soprattutto, in un contorno extralinguistico" (p. 33). A tali importanti questioni di natura ermeneutica sul testo e sulla scrittura, D'Acunto dedica il secondo capitolo dei tre che compongono la prima parte del lavoro.
La seconda parte invece è dedicata al linguaggio della Zambrano. Di questa grande pensatrice spagnola, discepola di Ortega, che incontra quando si trasferisce nel 1927 a Madrid per studiare filosofia, e tenace oppositrice alla dittatura franchista, ancora mancano studi estesi ed approfonditi intorno alla sua opera che vadano oltre la iper-inflazionata materia di genere (donna, filosofa innamorata, straniera, esule ecc.). L'attenzione di D'Acunto si concentra con perizia esegetica prima sulla distinzione tra
linguaggio e parola, osservando che la parola è il primo frutto del seme del Logos, e pertanto sta all'origine del linguaggio, poi sulla distinzione tra espressione e manifestazione di ascendenza heideggeriana. Infatti, se l'espressione è "proiettare le parole dall'interno verso l'esterno[...], manifestare è, invece, accogliere in sé la parola come dono di grazia e di verità, come scintilla sempre di nuovo riaccesa, come una cosa che è fatta per essere consumata senza logorarsi" (p. 86). Ne discende che la parola non è più o soltanto veicolo di significati ma, in termini heideggeriani, la parusia dell'essere, una sua manifestazione, il luogo del suo darsi e del suo apparire. L'esito naturale di questo percorso è un'ermeneutica dei luoghi della poesia che dà il titolo al terzo capitolo della seconda parte che chiude il volume. Se il linguaggio filosofico in Ortega approda alla 'metafora' nel senso che il logos stesso ossia la lingua è un'espressione metaforica, in Zambrano esso cede il passo a quello poetico che è un logos amorevole che non si impossessa delle parole, ma le lascia accadere perché generino immagini e significati inediti, è il luogo originario in cui si lascia catturare il silenzio (p. 115).